Lombardia. Banco Alimentare, una rete per rispondere alla povertà che cresce e incatena
di Lorenzo Rosoli
Nel 2018 l'onlus ha aiutato 215.053 persone distribuendo 19.170 tonnellate di cibo per 38,3 milioni di pasti. Le derrate raccolte grazie a 851 aziende donatrici e affidate a 1.200 strutture caritative.-
C’è una Lombardia ferita che soffre la fame. Che patisce una povertà implacabile. Che tende addirittura a cronicizzarsi. Senza fare differenze fra italiani e stranieri. O fra grandi e bambini. Ma c’è anche una Lombardia solidale che ha imparato a fare rete. E a fare cultura. Fino a portare i valori della condivisione e della responsabilità dentro le strategie e i processi. Nelle aziende e nelle istituzioni. Questo dice l’esperienza del Banco Alimentare della Lombardia, nella cui sede di Muggiò venerdì 15 marzo si è recato in visita l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini. Questo dicono i dati sull’attività dell’onlus nata trent’anni fa dall’idea di Danilo Fossati, il patron della Star, incoraggiato in quest’opera innovativa da don Luigi Giussani. Da trent’anni il Banco Alimentare – che oggi è una rete con 21 associazioni regionali e una fondazione con sede a Milano – recupera le eccedenze dalla filiera agroalimentare, dalla grande distribuzione organizzata e dalla ristorazione collettiva per redistribuirle gratuitamente alle strutture caritative che aiutano le persone e le famiglie in difficoltà. Promuovendo, così, inclusione e coesione sociale.
I numeri di una povertà che aumenta. E si cronicizza
«Nella nostra regione c’è un bisogno alimentare fortissimo ma poco noto – afferma Dario Boggio Marzet, presidente del Banco Alimentare della Lombardia –. Secondo un nostro studio, condotto su un campione rappresentativo delle strutture caritative – 1.180 enti su 1.247 – l’84,5% di tali strutture non registra una diminuzione degli assistiti. Tra queste, il 34% rileva addirittura un aumento. Il 35,7% segnala inoltre di non aver visto nessuna persona assistita uscire dalla condizione di bisogno nel corso del 2017. In Lombardia, dice l’Istat, la povertà assoluta è passata dal 2,7% del 2008 al 7% del 2017». Le cause? «La mancanza di lavoro – risponde il presidente –. Ma anche il reddito insufficiente al fabbisogno familiare, le problematiche educative, le separazioni e i divorzi». Secondo i dati del 2018, sono 215.053 le persone assistite dal Banco Alimentare: un terzo dei poveri lombardi. Un assistito su due è italiano, uno su quattro ha meno di 15 anni (48.433 persone), uno su due vive nella Città metropolitana di Milano (108.725).
Una buona pratica che cresce: il recupero delle eccedenze
Sempre nel 2018 il Banco Alimentare lombardo – con i suoi 19 dipendenti e i 748 volontari – ha redistribuito 19.170 tonnellate di aiuti alimentari: l’11% raccolto grazie alla Giornata nazionale della colletta alimentare; il 25% costituito da aiuti della Comunità Europea; il 64% recuperato dalla filiera alimentare. A monte, 851 aziende donatrici di cibo e 266 di beni e servizi; a valle 1.182 strutture caritative che hanno permesso di assistere 215.053 persone e di erogare 38,3 milioni di pasti. Una rete virtuosa. E capillare. «Con 105mila pasti distribuiti gratuitamente ogni giorno, siamo la più grande iniziativa sociale di ristorazione in Italia – riprende Boggio Marzet –. Ma c’è un altro dato che ci rende orgogliosi. Nel 2009 abbiamo distribuito 11.727 tonnellate di aiuti provenienti per il 64% dagli aiuti della Comunità Europea e dalla Colletta, e solo per il 36% dal recupero di eccedenze. Nel 2018 aiuti e donazioni rappresentano il 36% delle 19.170 tonnellate distribuite, mentre il 64% proviene dal recupero di eccedenze. Questo dice di un cammino educativo e culturale fatto con tante aziende, capaci di maturare un approccio proattivo in materia di gestione e recupero delle eccedenze».
Ora et labora, fra magazzino e celle frigorifere
«Negli anni – sottolinea il presidente – siamo stati chiamati a crescere in creatività e professionalità, per gestire con rigore tutti gli aspetti del processo di recupero delle eccedenze, da quelli igienico-sanitari a quelli normativi e fiscali: ma restando sempre fedeli alle nostre radici, perché la doverosa efficienza non degeneri in efficientismo fine a se stesso. Per questo, nella nostra sede di Muggiò, due volte al giorno – alle 10,30 e alle 15,30 – tutte le attività si fermano, si fa silenzio e, chi vuole, in libertà, si unisce alla preghiera comune. Noi – prosegue Boggio Marzet – ci ispiriamo alla dottrina sociale della Chiesa. Ma siamo una realtà non confessionale. Fra i nostri volontari, come fra le realtà caritative che aiutiamo, ci sono anche non cristiani. Alla Colletta collabora la comunità islamica. Quello che ci unisce, che ci rende "popolo", è la cultura della condivisione e il senso del dono: il cibo in eccedenza, come le nostre competenze, come il nostro tempo, tutto si fa dono per chi è nel bisogno. E chi è nel bisogno è guardato – e rispettato – come persona. Sempre».
Delpini: facciamo incontrare donatori e destinatari
«La Chiesa è con voi, vi stima, vi incoraggia. E promuove questo esercizio quotidiano della carità, al quale vogliamo dare ulteriore rilevanza pubblica. Per questo, nella nostra diocesi, potremmo trovare un momento per mettere insieme il Banco Alimentare, le aziende donatrici e i destinatari delle eccedenze, per offrire un’occasione di festa, di riflessione, di preghiera condivisa». È la proposta che l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, ha lanciato al termine della visita alla sede del Banco Alimentare della Lombardia, a Muggiò. Affiancato dal presidente, Dario Boggio Marzet, e da altri responsabili dell'onlus, il presule ha incontrato lavoratori e volontari impegnati nelle attività ordinarie del Banco, con i quali ha condiviso, nella mattinata di venerdì 15 marzo, uno dei due momenti di preghiera che scandiscono quotidianamente il fervore di opere nel grande magazzino di via Papa Giovanni XXIII. Un magazzino da 3.700 metri quadrati con 2.290 metri cubi di celle frigorifere, e 19 mezzi coibentati e refrigerati a completare la logistica. Il Banco è anche questo, certo. E molto più di questo. Sono, anzitutto, le persone che vi prestano servizio con generosità e competenza. E che hanno accolto l’arcivescovo con calore e simpatia. Ricambiate. Il presule ha dato voce alla sua «ammirazione» per la «genialità» di questa iniziativa che unisce «intelligenza e carità», offre una «provocazione culturale» alle aziende donatrici, «dà incoraggiamento a chi opera nel campo della carità» e mostra come il cibo possa diventare «messaggio di solidarietà». Una dinamica di dono della quale l’arcivescovo ha evocato la dimensione teologica, prima di rinnovare l’elogio del «gesto minimo», del bene silenzioso fatto da addetti e volontari. Le persone aiutate, infine: «possono recuperare stima di sé, osservando come la loro povertà generi sollecitudine da parte degli altri. E vincendo la rassegnazione, possono sentirsi incoraggiate a diventare esse stesse dono per gli altri».
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 16 marzo 2019