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Le librerie che resistono grazie alle persone

di Paolo Di Stefano

da www.corriere.it

@Riproduzione Riservata del 18 gennaio 2020

I bassi livelli di lettura e la concorrenza di Amazon spingono molti ad arrendersi. Ma c’è chi riesce a farcela: «Il segreto? I rapporti umani».-

Le librerie chiudono. Altre aprono ma non sono sufficienti a compensare le perdite. I numeri non trovano concordi le due associazioni interessate: quella dei librai e quella degli editori. Con scarti anche notevoli (2.300 circa in sei anni per gli uni, circa 800 per gli altri, che escludono le cartolibrerie). Fatto sta che chiudono non solo i negozi indipendenti o familiari, ma anche le librerie cosiddette di catena: ha colpito l’immaginario del lettore forte la scomparsa di tre Feltrinelli storiche, come quella di via Manzoni a Milano e le due di Roma (International e piazza Cavour). Le cause più ovvie sono: i bassi livelli di lettura e l’e-commerce che procura il libro in pochissimo tempo e magari a prezzi favorevoli. Secondo Paolo Ambrosini, presidente dell’Ali (Associazione librai), si chiude soprattutto perché il libraio italiano a dimensione familiare è schiacciato da un mercato — caso unico in Europa — gestito dagli editori anche nella promozione, nella distribuzione e nella vendita (con le catene). Gli sconti continuano a far discutere, poiché le librerie editoriali si concedono ribassi che gli indipendenti non possono permettersi (avendo margini di guadagno inferiori): oggi il tetto è fissato al 15 per cento, ma Ambrosini chiede che venga ridotto al 5 per cento, come recita la Legge sulla promozione e il sostegno alla lettura bloccata al Senato.

Per il presidente dell’Ali (Associazione editori) Ricardo Franco Levi, le cose stanno un po’ diversamente: «Se è giusto chiedere allo Stato di aiutare quei presidi civili e culturali che sono le librerie familiari, ridurre gli sconti sarebbe punire il lettore». Levi tiene poi ad attenuare il pessimismo attorno alle chiusure: «Va considerato che diverse nuove iniziative aprono, con bravissimi giovani usciti dalle scuole per librai». Sarà uno dei temi di discussione all’annuale incontro veneziano della Scuola Librai Umberto e Elisabetta Mauri (Fondazione Cini dal 28 al 31 gennaio). In effetti, alcune realtà sembrano in controtendenza rispetto all’aria di catastrofe.

La Libreria Marco Polo in Santa Margherita a Venezia, messa su da tre giovani amici a fine 2015, ha scelto la «bibliodiversità» come strategia di sopravvivenza. Niente bestseller da catena né grandi editori, ma solo titoli di qualità quasi invisibili altrove. Così facendo, gli amici della Marco Polo hanno raddoppiato, aprendo un’altra libreria alla Giudecca un paio d’anni fa. Dice Flavio Biz: «Il segreto è proporre libri che ci piacciono. E Amazon non è il nostro problema: cerchiamo, attraverso i libri, di tessere fili tra le persone, di proporci come punto di incontro e di aggregazione».

Romano Montroni, già storico direttore delle Feltrinelli e attuale presidente del Centro del Libro del MiBACT, ha pochi e solidi principi. Primo: «Librai non ci si improvvisa». Secondo: «Puntare sulla qualità delle proposte e del servizio». Dunque, competenza professionale, capacità di creare un ambiente piacevole, diversificare le attività. Ciò che nessun Amazon potrà mai offrire: «La relazione umana conta ancora o non conta più?». Sono concetti che conosce molto bene anche Antonella Nicoli, titolare di una libreria per ragazzi gestita da una cooperativa a Imola: la Libreria Il Mosaico è attiva da cinque anni ma da due si trova nella centralissima piazza Matteotti. Con successo. «La nostra caratteristica è riempire la libreria di iniziative, non solo di libri: incontri, corsi di formazione, letture ad alta voce, percorsi bibliografici, investendo sui bambini e sui ragazzi, cioè sui lettori del futuro».

Fondamentale il rapporto con le scuole, dove le libraie del Mosaico portano proposte e idee. Un’altra idea è lo spazio specifico dedicato al fumetto e al graphic novel. «Amazon? Non ce ne importa niente, a noi interessa arrivare al cuore del lettore, creare luoghi di incontro… solo così porti a casa lo stipendio». Non facile. Ne sa qualcosa Salvatore Paolino, della omonima libreria di Ragusa: ultimo giorno di apertura il 5 gennaio scorso dopo settant’anni di attività. «Il colpo definitivo per noi — dice — è arrivato con lo svuotamento del centro storico negli ultimi dieci anni dovuto ai lavori e alla chiusura di via Roma». C’è poi la questione, grave, dei distributori: «Ormai i tempi di consegna, rispetto ad Amazon, sono lentissimi e il cliente se ne accorge…». Raccontava Ambrosini che i libri richiesti dai clienti il 14 dicembre e ordinati subito dal libraio alla Mondadori sono arrivati in negozio il 4 gennaio… «Gli editori — rincara Paolino — sono i primi nemici delle librerie indipendenti». Parole pesanti da non far sapere a Ricardo Franco Levi.

Anche Verona ha la sua croce: la Grosso Ghelfi & Barbato ha chiuso il 31 ottobre, dopo quasi un secolo di alterne fortune: «Si danno tutte le colpe all’e-commerce, ma è venuto dopo», dice Stefano Grosso, che sottolinea la progressiva polverizzazione dei punti vendita: «Io non posso vendere le arance, ma il libro ormai lo si trova ovunque: in tabaccheria, al supermercato, dal giornalaio, all’ufficio postale, persino dal benzinaio…». Se poi viene aperta una libreria di catena di fronte al negozio indipendente, la sproporzione dei prezzi (e degli sconti), a pochi passi di distanza, fa fuggire il cliente. È capitato e continua a capitare.

La scomparsa di un’antica libreria di famiglia è sempre una ferita: quella delle due sorelle Calarco, Sonia e Nadia, a Torino è ancora più comprensibile. La Libreria Paravia, fondata nel 1802, fu rilevata da papà Calarco nel 1979, e ora sta sbaraccando: «In questi anni — dice Sonia — tutti si sono presi un pezzetto del nostro mercato: le catene, i supermercati, l’e-commerce, i tabacchi, le edicole, la posta… E così la torta per noi è finita. Un futuro? Noi non l’abbiamo visto, da cinque anni non riuscivamo ad avere uno stipendio: potevamo puntare sull’oggettistica e sui gadget, come fanno tanti, ma preferiamo dedicare più tempo ai nostri figli, poi si vedrà».

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