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Albenga-Imperia. Borghetti: facciamo risplendere una Chiesa «senza macchia»

di Giacomo Gambassi
A colloquio con il pastore che guida la Chiesa finita al centro delle cronache nei mesi scorsi. «Il mio stile? Misericordia e amorevolezza ma chi ha sbagliato si assuma le responsabilità».-
L’appartamento in cui vive ha il portone che si affaccia sulla via principale di Albenga, la strada dello shopping e dello “struscio”. Appena esce, c’è chi lo ferma. Per un saluto. Per un consiglio. Per un “grazie”. «Qui nel Ponente Ligure la gente è un po’ più chiusa rispetto alla mia Toscana. Ma, quando cade la barriera dell’iniziale diffidenza, ha davvero un cuore grande ed è capace di straordinari gesti di generosità », racconta il vescovo di Albenga-Imperia, Guglielmo Borghetti. L’episcopio è un cantiere aperto. E lo sono anche la Caritas, il Seminario, qualche parrocchia. Una Chiesa da risistemare, verrebbe da dire.
E alla mente tornano le vicende che l’hanno fatta finire al centro delle cronache per il comportamento non cristallino di alcuni sacerdoti e laici. «È inutile fare come gli struzzi e nascondere la testa sotto la sabbia – ammette Borghetti –. Eventi non piacevoli ci sono stati, anche se talvolta i media li hanno amplificati». Aprendo la Porta Santa durante l’ultimo Giubileo, il vescovo ha parlato di «Sposa chiacchierata», mentre nell’omelia di Natale ha messo in guardia dalla «bramosia delle passioni» e dalla «corruzione del cuore». «Per recuperare la bellezza che la diocesi possiede – spiega adesso – e per far risplendere sempre più la sua natura profonda di Chiesa “senza macchia né ruga”, i problemi vanno affronti uno alla volta nel modo più discreto, determinato ed efficace possibile. È la linea che sto seguendo». Il presule riconosce di aver attraversato momenti di «preoccupazione e sofferenza ». «Di mezzo ci sono sempre le persone, siano esse preti o laici. Sono persone coloro che hanno sbagliato. E sono persone coloro che ne hanno subìto le conseguenze. C’è bisogno di paternità, misericordia, amorevolezza. Ma chi è caduto in errore va aiutato ad assumersi le sue responsabilità. Non si può fare finta di niente».
Borghetti entra nell’antico Palazzo dei vescovi che ospita la Curia e il Museo diocesano. Dalle finestre del suo studio si intravede uno scrigno d’arte: è il Battistero paleocristiano che spicca a fianco della Cattedrale. Sulla parete la bolla di nomina firmata da papa Francesco. Borghetti è arrivato ad Albenga-Imperia nel 2015 come vescovo coadiutore. Fin dall’inizio Bergoglio gli ha concesso ogni potestà propria del vescovo. E dallo scorso settembre è diventato titolare della diocesi. «La decisione di Francesco è stata un’autentica sorpresa – confida –. Ero da quattro anni alla guida della Chiesa di Pitigliano-Sovana-Orbetello e tutto mi sarei aspettato fuorché di essere chiamato ad andare in un altrove sconosciuto. La riviera di Ponente era per me una terra nuova, ignota, da amare e servire». Quindi racconta: «Dopo la sorpresa, ecco il fattore timore perché era un impegno particolarmente delicato quello che mi prospettava il Papa. L’ho capito nel primo colloquio che ho avuto con lui. Durante l’incontro Francesco mi ha chiarito che cosa mi aspettava e mi ha assicurato la sua vicinanza». Nessun tentennamento? «Un’oscillazione interiore l’ho avuta. Ma ho adottato il modello mariano del “sì”».
La vita di Borghetti è stata sempre segnata dall’abbraccio fra mare e monti. Accadeva a Carrara, la città dov’è nato 63 anni fa e in cui è germogliata la sua vocazione «fra parrocchia e oratorio, in mezzo ai giovani e a tre sacerdoti molto in gamba», sottolinea. Il mare e la montagna tornano nel Sud della Toscana, nella prima diocesi che lo ha visto vescovo: quella di Pitigliano-Sovana-Orbetello. E di nuovo, qui, in questo angolo di Liguria. Nell’omelia per l’inizio del ministero episcopale ha tenuto a far sapere che un vescovo non può piacere a tutti. «Piacere a troppi è pericoloso – osserva –. Vuol dire probabilmente che è gattopardista, cioè che si ingrazia chiunque. Un vescovo è tenuto a fare scelte. Che non possono raccogliere un consenso collettivo». Nell’ultima Messa crismale del Giovedì Santo ha richiamato i sacerdoti a essere casti, poveri, obbedienti e creativi. «Sono dimensioni irrinunciabili nella vita del cristiano e in quella del prete in particolare – chiarisce –. La castità va intesa come capacità di amare radicalmente; la povertà implica il non attaccamento ai beni materiali; l’obbedienza rimanda all’ascolto della Parola e passa anche dalle indicazioni del vescovo. Sono persuaso che se non si ha un cuore libero, se si è legati a interessi personali, se si è irrigiditi sul proprio ego, cala inevitabilmente l’impegno pastorale ».
E subito precisa: «Comunque qui la maggioranza dei sacerdoti è esemplare sia per la vita di preghiera, sia per la testimonianza, sia per lo spirito di sacrificio ». Ai “suoi” presbiteri Borghetti ama ripetere che occorre ritagliarsi il tempo per lo studio. «La conoscenza di quello accade e di quanto esce in libreria è indispensabile per un pastore d’anime che voglia seminare il Vangelo fra la gente del suo tempo. Accanto alla preghiera, serve l’approfondimento. Altrimenti facciamo soltanto assistenza sociale».
Borghetti è stato accusato da qualcuno di aver “chiuso” il Seminario. «Non apprezzo chi usa questo verbo. Chiudere il Seminario implica non avere seminaristi. Invece i seminaristi ci sono eccome. Non solo. Il Seminario esiste ed è a due passi dal mare; c’è un rettore; si tiene l’anno propedeutico. Ho solo stabilito che chi si prepara al sacerdozio studi altrove: per due anni è stato a Pisa; da settembre sarà a Genova. Se la comunità del Seminario si riduce a poche persone, perde la sua incidenza formativa. E lo dico da ex rettore».
Il pensiero di Borghetti va ai giovani. «Deve essere corretta l’immagine negativa che possiamo avere di loro – riflette –. È vero che si percepisce una fragilità diffusa e quindi emerge il loro bisogno di paternità, ossia di avere a fianco quell’adulto che non c’è, ma i nostri ragazzi sono in ricerca, capaci di interrogarsi, non refrattari al Vangelo ». Poi il discorso si sposta sulla famiglia. A Natale il vescovo “arrivato dalla Toscana” ha detto di sognare una Chiesa «con il profumo di famiglia» e negli scorsi mesi l’Amoris laetitia è stata messa al centro del cammino diocesano. «La Chiesa deve andare a scuola dalla famiglia. E la famiglia può recepire dalla comunità ecclesiale gli elementi che la aiutano a vivere il progetto di Dio su di lei». E il laicato? «Il cardinale Ballestrero l’aveva chiamato il “gigante addormentato”.
Io preferisco pensare che abbia perso la voce. È necessario che parli di più. Perché tutti devono partecipare alla costruzione della Chiesa. Per questo è urgente dare il via a una nuova stagione formativa per i laici. Certo, non possiamo credere che si sia realizzata la promozione del laicato quando qualcuno viene ammesso accanto all’altare per fare più o meno ciò che compie il prete». E nell’«entusiasmo dei laici che si esprime anche nella vitalità di movimenti e associazioni» Borghetti vede una delle tante luci della diocesi. «Un’altra – aggiunge – è avere una comunità cristiana che ha un forte senso della vita di grazia e che si accosta con assiduità ai sacramenti, cominciando da quello della Riconciliazione».
La Chiesa locale è in prima linea nell’accoglienza dei profughi. In più di 150 sono stati ospiti delle strutture messe a disposizione dalle parrocchie o direttamente dalla diocesi. «È una maniera per declinare nel concreto le opere di misericordia – nota Borghetti –. La gente è orgogliosa di tutto ciò». Fra Albenga e Imperia la crisi economica morde ancora. «Nelle giornate che dedico alle udienze “libere” – riferisce il vescovo – assisto a un’autentica processione di donne e uomini che bussano alla porta e che sono nel bisogno. Non li voglio chiamare poveri perché la povertà è un concetto evangelico. Sono persone “mancanti di...” qualcosa: soprattutto di casa, denaro e lavoro. Come diocesi abbiamo scelto di dare un piccolissimo contributo all’emergenza abitativa concedendo cinque case ad altrettante famiglie italiane in difficoltà».
Ma oggi qual è la povertà più grande secondo Borghetti? Il vescovo ci pensa un attimo. Poi afferma con decisione: «L’indifferenza, vale a dire la convinzione che si possa vivere bene e felici senza Dio. Non è ateismo. È l’assunto che la vita sia propria e ciascuno possa gestirla a suo piacimento. Tutto questo ci sollecita come Chiesa e non può lasciarci insensibili».

I NUMERI

170mila gli abitanti
163 le parrocchie
187 i preti di cui
47 religiosi
979 km quadrati
2 le province

da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 21 luglio 2017

 

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