Comunione, in ginocchio o in piedi? Cosa dice la Chiesa
di Riccardo Barile
Tenendo la prolusione di un convegno sulla liturgia a Milano (Università Cattolica del Sacro Cuore), il 6 giugno scorso, il card. Robert Sarah ha spezzato una lancia a favore della recezione della comunione in ginocchio. Oltre alla sua testimonianza personale, ha portato l’esempio di san Giovanni Paolo II e di santa Teresa di Calcutta. Di recente poi è capitato un equivoco di informazione sul provvedimento di un Vescovo, che invece si è rivelato corretto. Tutto questo induce a valutare che la questione sia un poco “calda” e che debba essere affrontata riferendosi alla disciplina della Chiesa, cioè ai documenti che legittimano e motivano le diverse posture per la recezione dell’Eucaristia, evitando un dibattito emozionale.
“Prima del Concilio” vigeva la comunione in ginocchio alla balaustra e sulla lingua. “Dopo il Concilio” alla postura in ginocchio si è affiancata quella in piedi e alla comunione sulla lingua si è affiancata la comunione in mano. Combinando i vari fattori, le soluzioni potrebbero risultare quattro - tra le quali la comunione in ginocchio e sulla mano (!) -, ma di fatto la prassi si riduce a due posture: a) la più praticata e cioè in piedi con la comunione sulla mano o sulla lingua; b) la meno praticata e cioè in ginocchio con la comunione sulla lingua.
Il punto di partenza legislativo è l’Istruzione Inaestimabile donum del 3.4.1980, che al n. 11 prevede che la comunione «può essere ricevuta dai fedeli sia in ginocchio che in piedi, secondo le norme stabilite dalla Conferenza Episcopale». Chiamata in causa, la Conferenza Episcopale Italiana in data 19.7.1989 emanò la delibera n. 56 secondo la quale: «La santa comunione può essere distribuita anche deponendo la particola sulla mano dei fedeli» (ECEI 4/1845). La stessa CEI pubblicò contestualmente una Istruzione Sulla comunione eucaristica che al n. 14 promuoveva di fatto anche la postura in piedi in questi termini: «Particolarmente appropriato appare oggi l’uso di accedere processionalmente all’altare ricevendo in piedi, con un gesto di riverenza, le specie eucaristiche, professando con l’Amen la fede nella presenza sacramentale di Cristo» (ECEI 4/1859).
Si noti che la concessione della CEI non riguardava l’alternativa “in ginocchio / in piedi”, sempre possibile secondo la citata Istruzione Inaestimabile donum, ma riguardava la comunione sulla mano o in bocca; infine ed inoltre «i fedeli sono liberi di scegliere tra i due modi ammessi» (n. 15 = ECEI 4/1860.1864). Si esigeva però un segno di venerazione, un leggero inchino (ECEI 4/1859.1866), non esigito se la comunione era in ginocchio, secondo le disposizioni della Santa Sede: «Quando i fedeli ricevono la comunione in ginocchio, non è loro richiesto alcun segno di riverenza verso il Ss.mo Sacramento, perché lo stesso atto di inginocchiarsi esprime adorazione. Quando invece la ricevono in piedi, accostandosi all’altare processionalmente, facciano un atto di riverenza prima di ricevere il sacramento» (Inaestimabile donum 11).
La situazione che ne seguì dall’introdurre la comunione in piedi e in mano fu la difficoltà di trovare e di insegnare il previsto gesto di venerazione, per cui la recezione della comunione avvenne/avviene per lo più senza questo gesto. E non si tratta solo di un gesto: la comunione avviene per lo più senza lo “spirito” di venerazione/adorazione espresso dal gesto. Infatti il gesto rituale, come per tante altre esperienze umane, non si limita a “manifestare” un atteggiamento interiore, ma - presupposta una minima e previa catechesi - è anche la causa che genera e mantiene tale atteggiamento interiore.
A conferma e controprova riporto uno solo di alcuni testi patristici che la già citata concessione CEI appone in nota al n. 3 delle Indicazioni particolari (ECEI 4/1865): «Ciascuno si avvicina, con lo sguardo abbassato e le mani tese. Guardando in basso il fedele esprime, mediante l’adorazione, una specie di debito di convenienza» (Teodoro di Mopsuestia). Ora è chiaro che un atteggiamento simile è un poco difficile e in parte estraneo alla mentalità del “fedele tipo” che fa la comunione processionalmente e in piedi, per cui non attecchì. Così non tardarono le reazioni. Giovanni Paolo II nella Dominicae cenae (24.2.1980, secondo anno di pontificato), al n. 11 stigmatizzava in alcuni casi «mancanze di rispetto» e repressioni quanto alla libertà di scelta di coloro che intendevano ricevere la comunione in bocca. Benedetto XVI favorì la comunione in ginocchio nelle celebrazioni da lui presiedute, non senza polemiche, per la verità strane, dal momento che il n. 160 dell’Ordinamento Generale del Messale Romano stabilisce laconicamente che: «I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza Episcopale».
Comunque, a seguito di divieti e di paralleli ricorsi a Roma, la Congregazione per il Culto divino, con la lettera This Congregation ad un vescovo e ad un fedele circa la postura per ricevere la comunione eucaristica, in data 1 luglio 2002 chiarificò che: «Pur avendo la Congregazione approvato la legislazione che stabilisce per la santa comunione la postura eretta, in accordo con gli adattamenti permessi dalle Conferenze dei vescovi per mezzo della Istitutio generalis Missalis Romani, n. 160, par. 2, lo ha fatto chiarendo che i comunicandi che scelgono di inginocchiarsi non devono per questo motivo subire un rifiuto» (EV 21/665). Un documento successivo sanciva e ribadiva la stessa legge di libertà, rivolgendosi evidentemente ai ministri competenti e specificando che: «Non è lecito negare a un fedele la santa comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi» (Redemptionis sacramentum 91, del 25.3.2004). Dunque tutte e due le possibilità sono ammesse in un regime di libertà e dal punto di vista della legislazione vige una perfetta “par condicio”.
Se si osservassero le leggi, sarebbe tutto semplice e si sarebbe evitata la gimkana tra i documenti di cui sopra. Le difficoltà sorgono perché a volte “qualcuno” - un parroco, un formatore di seminaristi o di religiosi, un vescovo - sconsiglia o vieta la comunione in ginocchio, evidentemente abusando della sua autorità. Che fare? Evitando ricostruzioni storiche e analisi liturgiche che pure circolano, diamo per scontato che la comunione in mano e in piedi è al momento irreversibile e, invece di sognare improbabili virate, cerchiamo di darne ragione al meglio, motivando nel contempo la comunione in ginocchio e la libertà di scelta per entrambe a secondo della “grazia” personale: La comunione in ginocchio mette in evidenza l’adorazione, la preghiera in ginocchio presente nel Vangelo da parte di Gesù (Lc 22,41) e poi di tanti altri verso Gesù o semplicemente nella preghiera (Mt 1,40; 10,17; 17,14; Lc 5,8; At 7,60; 9,40; 20,36; 21,5). È un restituire a Cristo in adorazione ciò che nella passione ricevette per scherno (Mt 27,29; Mc 15,19). È un riconoscimento del disegno grandioso della salvezza e della vittoria escatologica di Gesù Cristo (Ef 3,14; Fil 2,10; Rm 14,11), anticipo del regno futuro che si attua nell’Eucaristia; la comunione in piedi (sulla mano) e camminando si riallaccia simbolicamente al “pane del cammino” del profeta Elia, che «con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio» (1Re 19,8), o alla manna data per sostenere il popolo durante il cammino (Es 16,1ss.). Gesù, portando a compimento queste Scritture, moltiplicò i pani per coloro che lo seguivano ascoltandone la parola (Mt 14,13; 15,3; Mc 6,34; 8,1-2; Lc 9,11; Gv 6,2).
Dunque ricevere la comunione in piedi e processionalmente - con un previo atto di riverenza/adorazione - è un gesto simbolico del cammino della vita verso Cristo per riceverne forza e per camminare orientati a lui. Ecco la “sinfonia cattolica”. Mentre i dittatori di un sedicente “dopo il Concilio” impongono una sola dimensione non accettando la varietà dei carismi, coloro che attenendosi fedelmente alle norme «dimostrano in modo silenzioso ma eloquente il loro amore per la Chiesa» (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 52) - accettano che per dono dello Spirito alcuni fedeli nel ricevere la comunione esprimano una pluralità di atteggiamenti. Lasciando coesistere le due forme, si ha un vicendevole influsso ed un arricchimento l’una dall’altra: la comunione processionale ricorda la serietà di vivere il rapporto con Cristo ben radicandolo in questo mondo; la comunione in ginocchio ricorda che il senso ultimo della vita non si riduce a sistemare bene questo mondo, ma ad adorare e lodare il nostro unico Salvatore nella forza dello Spirito e a gloria del Padre. Certo la Chiesa, in quanto fedele ermeneuta di Gesù Cristo, può e potrà modificare tale disciplina e bisognerà attenervisi. Ma ad oggi - leggi alla mano - stabilire a chi e quando sia dato l’uno o l’altro carisma non dipende dagli operatori pastorali. Perché, se così fosse, si tratterebbe sì di “clericalismo”.
da www.lanuovabussolaquotidiana.it
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