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«PROPRIO QUANDO CI SENTIAMO DEI “POVERACCI” DIO CI CAMBIA E CI DONA UN CUORE NUOVO»

di Antonio Sanfrancesco

da www.famigliacristiana.it

@Riproduzione Riservata del 09 giugno 2020

Francesco all’udienza generale: «Come Giacobbe tutti noi abbiamo un appuntamento nella notte della nostra vita con Dio. Ma proprio quando ci sentiamo perduti non dobbiamo temere». E lancia un appello contro la piaga del lavoro minorile: «È una forma di schiavitù, siamo tutti responsabili».-

Ricorda che venerdì prossimo si celebra la Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile che «in non pochi casi si tratta di forme di schiavitù e di reclusione» e lancia un appello alle istituzioni «affinché pongano in essere ogni sforzo per proteggere i minori», colmando «lacune economiche e sociali». Poi, continuando il ciclo di catechesi dedicate alla preghiera, si sofferma sulla figura di Giacobbe «che aveva fatto della scaltrezza la sua dote migliore».

Papa Francesco tiene la sua quattordicesima udienza generale senza fedeli, in diretta streaming dalla Biblioteca del Palazzo Apostolico, e ricorda che la «preghiera è una lotta con Dio». Al centro della riflessione del Pontefice c’è la vicenda di Giacobbe, in pessimi rapporti con il fratello Esaù: «Diremmo con linguaggio moderno che Giacobbe è un uomo che “si è fatto da solo”, con l’ingegno, la scaltrezza, riesce a conquistare tutto ciò che desidera», dice il Papa, «ma gli manca qualcosa. Gli manca il rapporto vivo con le proprie radici.E un giorno sente il richiamo di casa, della sua antica patria, dove ancora viveva Esaù, il fratello con cui sempre era stato in pessimi rapporti. Giacobbe parte e compie un lungo viaggio con una carovana numerosa di persone e animali, finché arriva all’ultima tappa, al torrente Jabbok. Qui il libro della Genesi ci offre una pagina memorabile. Racconta che il patriarca, dopo aver fatto attraversare il torrente a tutta la sua gente e tutto il bestiame – che era tanto -, rimane da solo sulla sponda straniera. E pensa: che cosa lo attende per l’indomani? Che atteggiamento assumerà suo fratello Esaù, al quale aveva rubato la primogenitura? La mente di Giacobbe è un turbinio di pensieri… E, mentre si fa buio, all’improvviso uno sconosciuto lo afferra e comincia a lottare con lui. Il Catechismo spiega: “La tradizione spirituale della Chiesa ha visto in questo racconto il simbolo della preghiera come combattimento della fede e vittoria della perseveranza”». Francesco sottolinea che «Giacobbe lottò per tutta la notte, senza mai lasciare la presa del suo avversario. Alla fine viene vinto, colpito dal suo rivale al nervo sciatico, e da allora sarà zoppo per tutta la vita. Quel misterioso lottatore chiede il nome al patriarca e gli dice: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele. perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto”. Come a dire: non sarai mai l’uomo che cammina così, ma dritto. Gli cambia il nome, gli cambia la vita, gli cambia l’atteggiamento; ti chiamerai Israele. Allora anche Giacobbe chiede all’altro: “Svelami il tuo nome”. Quello non glielo rivela, ma in compenso lo benedice. E Giacobbe capisce di aver incontrato Dio “faccia a faccia”».

«DIO RIPORTA GIACOBBE ALLA SUA VERITÀ DI MORTALE CHE TREMA E HA PAURA»

Questo episodio narrato dal libro della Genesi ha un senso chiaro secondo il Papa: «In quella notte, attraverso una lotta che si protrae a lungo e che lo vede quasi soccombere, il patriarca Giacobbe esce cambiato. Cambio del nome, cambio del modo di vivere e cambio della personalità: esce cambiato. Per una volta non è più padrone della situazione – la sua scaltrezza non serve -, non è più l’uomo stratega e calcolatore; Dio lo riporta alla sua verità di mortale che trema e ha paura, perché Giacobbe nella lotta aveva paura. Per una volta Giacobbe non ha altro da presentare a Dio che la sua fragilità e la sua impotenza, anche i suoi peccati. Ed è questo Giacobbe a ricevere da Dio la benedizione, con la quale entra zoppicando nella terra promessa: vulnerabile, e vulnerato, ma con il cuore nuovo».

Una volta, racconta il Papa, «ho sentito dire a un uomo anziano – buon uomo, buon cristiano, ma peccatore che aveva tanta fiducia in Dio - diceva: “Dio mi aiuterà; non mi lascerà da solo. Entrerò in paradiso, zoppicando, ma entrerò”. Giacobbe, prima era uno sicuro di sé, confidava nella propria scaltrezza. Era un uomo impermeabile alla grazia, refrattario alla misericordia; non conosceva cosa fosse la misericordia. “Qui sono io, comando io!”, non riteneva di avere bisogno di misericordia. Ma Dio ha salvato ciò che era perduto. Gli ha fatto capire che era limitato, che era un peccatore che aveva bisogno di misericordia e lo salvò».

Francesco ricorda che la vicenda di Giacobbe non ci è estranea: «Tutti quanti noi abbiamo un appuntamento nella notte con Dio, nella notte della nostra vita, nelle tante notti della nostra vita: momenti oscuri, momenti di peccati, momenti di disorientamento. Lì c’è un appuntamento con Dio, sempre. Egli ci sorprenderà nel momento in cui non ce lo aspettiamo, in cui ci troveremo a rimanere veramente da soli. In quella stessa notte, combattendo contro l’ignoto», sottolinea il Papa, «prenderemo coscienza di essere solo poveri uomini - mi permetto di dire “poveracci” - ma, proprio allora, nel momento in cui ci sentiamo “poveracci”, non dovremo temere: perché in quel momento Dio ci darà un nome nuovo, che contiene il senso di tutta la nostra vita; ci cambierà il cuore e ci darà la benedizione riservata a chi si è lasciato cambiare da Lui. Questo è un bell’invito a lasciarci cambiare da Dio. Lui sa come farlo, perché conosce ognuno di noi. “Signore, Tu mi conosci”, può dirlo ognuno di noi. “Signore, Tu mi conosci. Cambiami”».

«CERCHIAMO GESÙ EUCARESTIA NEGLI ULTIMI, POVERI E SOFFERENTI»

Dopo la catechesi, i saluti in varie lingue ai pellegrini. Rivolgendosi ai fedeli polacchi, Francesco ricorda che «il mese di giugno, dedicato al Sacratissimo Cuore di Gesù, è particolarmente sentito tra di voi. Al Cuore Divino, colmo di pace e di amore, possiamo affidare tutte le inquietudini dei nostri cuori e il nostro amore imperfetto».Infine, l’appello contro la piaga del lavoro minorile: «Venerdì prossimo, 12 giugno, si celebra la Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile», ricorda il Papa, «un fenomeno che priva i bambini e le bambine della loro infanzia e che ne mette a repentaglio lo sviluppo integrale. Nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, in diversi Paesi molti bambini e ragazzi sono costretti a lavori inadeguati alla loro età, per aiutare le proprie famiglie in condizioni di estrema povertà. In non pochi casi si tratta di forme di schiavitù e di reclusione, con conseguenti sofferenze fisiche e psicologiche. Tutti noi siamo responsabili di questo. Faccio appello», continua, «alle istituzioni affinché pongano in essere ogni sforzo per proteggere i minori, colmando le lacune economiche e sociali che stanno alla base della dinamica distorta nella quale essi sono purtroppo coinvolti. I Bambini sono il futuro della famiglia umana: a tutti noi spetta il compito di favorirne la crescita, la salute e la serenità!».

Infine, nel saluto ai fedeli di lingua ricorda che domani (giovedì, ndr) «è la Solennità del Corpus Domini, Corpo e Sangue di Cristo. Quest’anno non è possibile celebrare l’Eucaristia con manifestazione pubbliche, tuttavia possiamo realizzare una “vita eucaristica”. L’ostia consacrata racchiude la persona del Cristo: siamo chiamati a cercarla davanti al tabernacolo in chiesa, ma anche in quel tabernacolo che sono gli ultimi, i sofferenti, le persone sole e povere. Gesù stesso lo ha detto».

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