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Malattie degenerative. «Mia figlia mi insegna: questi non sono bambini a perdere»

di Graziella Melina
Elena, 7 anni, è immobilizzata. La mamma: da lei ho imparato tanto, ogni suo sorriso vale più di qualsiasi altra cosa.-
«Nella sfortuna, mi sento molto fortunata, nessuno mi ha mai dato una prognosi, né mi ha dato una scadenza». Nessuno, per fortuna, le ha imposto il calvario che stanno vivendo i genitori di Charlie Gard, la cui vita da mesi è in balia di vicissitudini giudiziarie. Cristina Rebagliati, 48 anni, da qualche tempo residente a Brescia, per la sua Elena, affetta da una malattia neurodegenerativa, ha potuto sempre scegliere senza condizionamenti medici o legali. Semplicemente prendendosene cura con la forza, l’amore e il coraggio di una mamma.
«Fino a 4-5 mesi – racconta – Elena ha avuto uno sviluppo normale, mi ero accorta che era un po’ più indietro rispetto alla norma, ma mai mi sarei immaginata una cosa del genere. Una notte si è svegliata urlando. L’ho presa in braccio, era rigida, cianotica. L’ho attaccata al seno e si è addormentata. Il giorno dopo l’ho portata da una pediatra, a Genova, poi al pronto soccorso per fare le verifiche, le analisi del sangue, l’elettroencefalogramma ». Pochi giorni di attesa e i risultati degli esami la costringono al ricovero. «Le è stata fatta una risonanza magnetica e ci hanno subito detto che poteva essere affetta dalla malattia di Leigh», una patologia neurologica progressiva che interessa il sistema nervoso centrale. Elena rientra a casa, ma per poco tempo. «I primi di luglio ha un arresto respiratorio. L’hanno intubata e portata in ospedale. È la prassi: i medici applicano la ventilazione meccanica, poi provano a verificare se la bimba respira da sola, altrimenti la intubano di nuovo. E poi si riprova a staccare la macchina. Ma se non respira neanche la seconda volta si fa la tracheotomia o si sceglie cosa fare».
Elena vince però la sua prima sfida e ricomincia a respirare da sola. E a crescere. Prima dei tre anni, però, un’altra corsa in ospedale e la piccola si ritrova di nuovo a essere intubata. «Era ventilata artificialmente. Aveva un catetere centrale, la vedevo martoriata dai macchinari, dai tentativi dei medici. A quel punto ho detto basta. Lasciamola stare. Se vuole andare se ne va, se vuole stare qui, sta qui. Me la metto in braccio, staccano le macchine, tutti piangevano. Mi sono fatta forza, ho cercato di raccontarle le favole, le canzoni, le cose che conoscevo e piano piano Elena invece di andarsene ha cominciato a respirare…». Da quel giorno, di tempo ne è passato, tra altre corse in ospedale, visite, esami. «Elena adesso ha 7 anni e mezzo. Non parla, non cammina, non sta seduta, non afferra, non si sa bene quanto veda. Avendo una lesione cerebrale da sempre dorme con il saturimetro», che permette tra l’altro di controllare lo stato di ossigenazione del sangue. Però la disabilità non ha fermato la forza della mamma, decisa a fare tutto il possibile per vederla stare bene. «Tranne l’estate al mare a Genova, durante l’anno Elena va all’asilo, ha degli assistenti che la seguono, dalle 9 alle 4, fa la fisioterapia, viene a casa, vede la tv. Quest’anno andrà alle elementari, ovviamente non va a scuola per leggere e scrivere, però per me è fondamentale che questa vita che le è stata data la viva al meglio. Quel poco che riesce a fare, io voglio che lo faccia».
La condizione di Elena, «che sta seduta con il corsetto, il poggiatesta e non si muove, è quella che alcuni definirebbero un vegetale», dice amaramente. Ma «Elena è viva, le sue percezioni le ha, anche se limitate rispetto a noi. Però io le vedo: quando siamo al mare io la metto in acqua, le faccio fare il bagno e lei ride, quindi vuol dire che è contenta. Le faccio il solletico e ride. Quando al mattino si sveglia sorride, e anche quando poi la metto a letto sorride». Poi pensa al piccolo Charlie: «Si stanno accanendo nel volerlo fare stare là. In Inghilterra hanno un altro concetto di vita, che non è il nostro. In Italia non sarebbe stato possibile che un bambino resti sedato e intubato per 8 mesi. Qualsiasi persona, anche sana, dopo una sedazione così lunga non ha grandi possibilità di riprendersi. E comunque i genitori non volevano certo portarlo da uno stregone, ma da Michio Hirano che è il maggior conoscitore delle malattie mitocondriali. Salvatore Di Mauro, che le ha scoperte, è stato il suo insegnante. La verità è che i nostri sono considerati “bambini a perdere”, senza prospettive di vita, con malattia non curabile, e quindi non c’è scopo di perdere soldi ed energie in bambini così, perché non hanno chance. Eppure tante volte abbiamo visto bimbi dati per spacciati che in realtà poi sopravvivono». Anche se non esistono cure. «Ogni tanto leggo che alcune mamme dicono “non ti vorrei diverso da come sei”. No, non è vero, ma non per me, ma per la mia bambina. Però a volte penso che un bambino come Elena ti insegni a goderti di più delle piccole cose, impari a vivere meglio, ad accettare quello che hai. Non per me avrei voluto un’altra vita, ma per lei. Per me la cosa importante è che la vita che le è stata data sia vissuta al meglio possibile. Un sorriso di mia figlia per me vale più di qualsiasi altra cosa».
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 27 luglio 2017

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