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CATECHESI 2.0: «FOLLOWER DI GESÙ, MA NON VIRTUALI»

di Annachiara Valle

da www.famigliacristiana.it

@Riproduzione Riservata del 25 giugno 2020

Presentato il nuovo Direttorio per la Catechesi. Grande attenzione al linguaggio digitale e alla cura della persona in ogni contesto. Difesa della vita e formazione per contrastare le teorie gender e per scongiurare nuovi abusi. La Chiesa si apre al futuro.-

In tutto 428 paragrafi per 320 pagine. A distanza di oltre vent’anni dall’ultima pubblicazione vede la luce il Direttorio per la catechesi. Il terzo, dopo quello del 18 marzo 1971, approvato da Paolo Vi, e quello del 15 agosto 1997, voluto da Giovanni Paolo II. «Nell’era digitale e nel mondo in cui viviamo vent’anni sono come secoli», ha spiegato monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, che ha redatto il testo approvato da papa Francesco. «Un documento tradotto in sei lingue e che viene pubblicato anche dalla San Paolo in italiano con una guida approfondita», ha aggiunto monsignor Fisichella. Il testo, che ha visto 12 bozze prima di quella definitiva, diviso in tre parti (La Catechesi nella missione evangelizzatrice della Chiesa, Il processo della Catechesi e La Catechesi nelle Chiese particolari) che affronta tutti gli ambiti in cui gli uomini e le donne sono oggi chiamati a vivere. Un nuovo linguaggio per esprimere i fondamenti della dottrina di sempre. «Non si tratta di un cambio di strategia», ha spiegato subito monsignor Octavio Ruiz Arenas, Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, «ma  il cercare di tradurre la fede con un linguaggio che tutti possono comprendere e che dia ai credenti la possibilità di presentare la loro speranza a tutti coloro che chiedono la loro ragione».

Un lavoro lungo, cominciato già nel 2016, e che ha affrontato anche le questioni più spinose, dagli abusi alla teoria del gender, dal dialogo con le altre religioni alla sfida della secolarizzazione.

In primo piano, però, la cultura digitale per questo che potremmo definire un Direttorio 2.0. Un’attenzione al digitale che vuol dare però anche le chiavi di lettura per non «virtualizzare» la fede. «Si pensi, ad esempio», spiega il documento, «alla chiamata di Gesù ad essere discepoli, termine che chiede di essere spiegato per evitare che venga confuso con dinamiche tipiche della rete: la dinamica dell’essere discepoli, infatti, non è la stessa che si instaura tra un influencer e i suoi follower virtuali». Servono «figure autorevoli, che attraverso l’accompagnamento personale portino ogni singolo giovane a riscoprire il proprio progetto personale di vita. Questo cammino richiede di passare dalla solitudine, nutrita dai likes, alla realizzazione di progetti personali e sociali da realizzare in comunità».

«Il nuovo Direttorio è molto attento ai segni dei tempi e cerca di interpretarli alla luce del Vangelo - come dice la Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II, Gaudium et spes. Infatti questi sono le principali sfide di una cultura digitale, il contesto della trasmissione della fede nella famiglia nella sua composizione intergenerazionale», ha sottolineato monsignor Franz-Peter Tebartz-van Elst, Delegato per la Catechesi del medesimo Pontificio Consiglio. «Inoltre», ha aggiunto, il nuovo Direttorio presta grande attenzione a tutte le questioni relative alla crisi ecologica e, per quanto riguarda la catechesi, fa riferimento all´Enciclica papale Laudato Si´». Il nuovo Direttorio che è basato sulla Lettera Apostolica di Papa Francesco Evangelii gaudium, e che fa riferimento sia all’Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI che al documento Evangelii gaudium, di papa Francesco, sottolinea «l´importanza della catechesi come parte indispensabile per un più ampio processo di evangelizzazione. Anche in questo senso il Direttorio attuale è continuità e innovazione allo stesso tempo. Sottolineando le responsabilità specifiche per la catechesi – dal vescovo come primo catechista della sua diocesi ai nonni – la catechesi non può essere delegata ma è l’essenza più intima di tutte le forme e i modi di predicare la fede».

Una catechesi, dunque, che viene trasmessa dalla famiglia, dalla Chiesa, dalle comunità. E che riguarda le persone con disabilità, i ragazzi, i migranti e gli emigrati, gli anziani le persone marginali.

Che ricorda anche la formazione specifica che devono avere i catechisti. E questo perché «il catechista, a motivo del suo servizio, ricopre un ruolo nei confronti delle persone che accompagna nella fede ed è da loro percepito come una persona di riferimento, che esercita una certa forma di autorità». Diventa allora «necessario che questo ruolo sia vissuto nel più assoluto rispetto per la coscienza e la persona altrui perché sia evitato ogni genere di abuso, sia esso di potere, di coscienza, economico o sessuale».

Nel testo, entra per la prima volta anche la parola «gender», nel capitolo in cui si mette in guardia contro «un diffuso orientamento di ciò che oggi si presenta sotto la denominazione di gender» che «mette in discussione il dato rivelato: “Maschio e femmina li creò”. L’identità di genere, secondo tale posizione, non è più un dato originario che l’uomo deve accogliere e riempire di senso, bensì una costruzione sociale che si
decide autonomamente, svincolata totalmente dal sesso biologico. L’uomo nega la propria natura e decide che è lui stesso a crearsela».

Nessuna discriminazione, però, con chi vive con difficoltà la propria identità sessuale. La Chiesa, si legge nel testo, «è ben consapevole della complessità delle situazioni personali vissute, a volte, in modo conflittuale. Essa non giudica le persone, ma invita ad accompagnarle sempre e in qualsiasi situazione. E però consapevole che, in una prospettiva di fede, la sessualità non è solo un dato fisico, ma è una realtà personale, un valore affidato alla responsabilità della persona. In questo modo l’identità sessuale e il vissuto esistenziale dovranno essere una risposta alla chiamata originaria di Dio».

E ancora difesa della vita e della sua dignità «contro la cultura della morte» con la sollecitazione, sulle questioni di bioetica a promuovere «specifici itinerari di educazione alla fede e alla morale cristiana, in cui temi quali la vita umana come dono di Dio, il rispetto e lo sviluppo integrale della persona, la scienza e la tecnica ordinate al bene dell’uomo, abbiano uno spazio adeguato, alla luce del Magistero della Chiesa, espresso anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica».

Attenzione, infine, alle Chiese particolari, alla cosiddetta «catechesi indigena». E cura dei migranti, dei carcerati, di chi ha disabilità.

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