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La gravidanza ai tempi del Covid-19: cosa possono fare gli psicologi?

di Chiara Centomo, psicologa e psicoterapeuta
https://www.ordinepsicologiveneto.it/ita/content/la-gravidanza-ai-tempi-del-covid-19-cosa-possono-fare-gli-psicologi
@Riproduzione Riservata del 05 febbraio 2021

Sono una psicologa e sono in gravidanza. Non che questi due fattori, di per sé, conferiscano qualche privilegio, se non quello di poter osservare da svariate angolazioni che cosa significa diventare mamma al tempo del coronavirus. Sto lavorando con future mamme e con chi desidera diventarlo, sono in contatto con vari gruppi di donne in attesa e con i servizi a loro rivolti, e io stessa ne sto facendo esperienza.

È una prospettiva, quella della prima persona, che non è sempre andata d'accordo con la psicologia e che solo in tempi relativamente recenti è stata sdoganata in favore di una conoscenza che - per dirla con parole care alla fenomenologia - è sempre situata e prospettica1. In questo contributo, perciò, vorrei proporre alle psicologhe e agli psicologi che lavorano sul campo alcuni spunti, senza la pretesa di esaurire l'argomento ma partendo proprio dagli sguardi delle donne che ho incrociato nelle ultime settimane.

Una breve, brevissima introduzione

Può sembrare scontato e pure banale, ma in questo momento in cui il tema coronavirus assorbe gran parte delle conversazioni e degli input mediatici, rischiamo di dimenticarcelo: diventare mamma - non importa se è la prima, la seconda o la "n" volta - comporta una cascata di cambiamenti psicofisici. La nascita di una nuova vita richiede una riorganizzazione delle proprie strutture di significato, dei propri ruoli e delle relazioni con gli altri, rielaborandoli in modo più ampio e comprensivo per fare spazio al nuovo.

Lo sappiamo, noi psicologi, che non si tratta di un processo sempre facile e lineare, perché deve fare i conti con la storia e i vissuti di quella particolare donna, con i vincoli e le possibilità  di cui dispone in quel momento della sua vita. Si tratta di un cambiamento che, anche quando desiderato, anche nei casi più felici, può fare paura. Tanto più la trasformazione richiesta è profonda e pervasiva, tanto più può arrivare a profilarsi come minacciosa2 e richiedere un ampio cambiamento di sé, che per alcune può essere estremamente destabilizzante.

Gravidanza e Covid-19

Se a tutto questo si aggiunge l'anticipazione o addirittura l'esperienza di contrarre una malattia potenzialmente grave il grado di smarrimento si amplifica: si tratta di un evento di fronte al quale ci si sente impotenti, impreparati, vulnerabili.

L'Istituto Superiore di Sanità3 e il Ministero della Salute4 offrono informazioni molto precise riguardo la prevenzione, la trasmissibilità del virus e le buone prassi da tenere nel caso ci si ammali durante la gravidanza e nel puerperio. Il focus, tuttavia, appare per lo più centrato sulla salute fisica, mentre si apre un desolante vuoto quando si volge lo sguardo alle implicazioni psicologiche e ai vissuti delle donne; si fa solo qualche sporadico accenno a un bisogno di sostegno che vada oltre la mera informazione5. Mentre  i servizi sanitari dell'area ostetrico-infantile vengono garantiti, pur con la comprensibile fatica di ospedali e personale sanitario per organizzare spazi e turni adeguati, agli aspetti psicologici chi ci pensa?6

E le mamme?

Ho recentemente letto in un articolo7 una riflessione sulla dimestichezza delle donne nel fronteggiare l'imprevisto e l'incertezza: in fondo, nella storia, non si è mai smesso di partorire e di accudire la vita, nemmeno nelle condizioni più terribili (durante le migrazioni, le carestie, le guerre, sui barconi). Non sarà certo un virus a fermarci, ho pensato, e in effetti vedo brillare questo tipo di determinazione in molti sguardi di future mamme. Gran parte di loro, per fronteggiare la solitudine della quarantena e la separazione forzata dalle famiglie e dagli amici, si organizzano con videochiamate o gruppi WhatsApp per restare aggiornate sugli esami da fare o sui siti in cui acquistare il corredino ora che i negozi sono chiusi. Sospesi i corsi di preparazione al parto, trovano spesso utile confrontarsi anche sugli aspetti più concreti della gravidanza che, proprio per la loro natura anticipabile, aiutano a rassicurarsi sulla possibilità di mantenere un certo grado di controllo su quello che sta accadendo.

Per questo, a volte, è proprio a partire da un imprevisto pratico, come una visita che salta o la culla che non arriva, che subentrano l'incertezza e la paura. Molte delle difficoltà che vivono le donne in gravidanza, e non solo loro, abitano le pieghe dei pensieri, le sfumature di senso di alcune scelte che non è sempre facile cogliere da parte di chi le sta vivendo.

Cosa possiamo fare come psicologi?

Tanto, tantissimo. Innanzitutto possiamo metterci in ascolto dei dubbi, delle domande e delle insicurezze delle future mamme, dei papà e delle coppie che si ritrovano improvvisamente a dover ricostruire le immagini, le aspettative e i desideri relativi alla gravidanza, al parto e al post-parto.

Alcune di queste domande riguardano il momento del travaglio e del parto: il papà potrà essere presente, mi potrà sostenere? Potrò scegliere se partorire naturalmente? Potrò stare in ospedale il tempo necessario per riprendermi o ci sarà necessità di liberare i posti letto? E se mi ammalo, che succederà? Rischierò di trasmettere il virus al bambino? Mi daranno la possibilità di stargli o starle vicino e allattare, o dovremo separarci?

E ancora: ce la farò dopo il parto? Io e il mio compagno saremo completamente soli con un bambino da conoscere e imparare a gestire? Ammesso che l'andamento dei contagi diminuisca e le restrizioni agli spostamenti vengano allentate, mi fiderò che vengano in casa altre persone o di uscire io stessa? Che mondo farà conoscere a mio figlio o a mia figlia?

Non si tratta di questioni di poco conto, perché investono quell'universo di attese e di aspettative in cui, forse già prima dell'atto della fecondazione, viene concepito un figlio. Ogni domanda assume un peso specifico diverso all'interno della storia personale di ciascuna, si intreccia con i suoi significati, e non è detto che le rassicurazioni "tecniche" (ad esempio non ci sono prove scientifiche che supportino l'idea di un contagio intrauterino, non ci sono indicazioni particolari per il cesareo e l'allattamento è consentito anche se la madre è positiva) siano sufficienti a placare l'ansia.

Non dimentichiamo, poi, le problematicità che possono affiorare in ogni gravidanza, aumentando la complessità e lo smarrimento: per esempio se si manifestano dei problemi della madre o del bambino (patologie, parto prematuro, complicazioni di vario genere), se ci sono delle fragilità emotive precedenti, se risulta ostico elaborare gli aspetti identitari e relazionali implicati nel cambiamento o se emergono delle difficoltà di coppia, magari esacerbate dalla convivenza forzata.

In gran parte delle esperienze che ho raccolto la quarantena acuisce la solitudine e la mancanza di punti di riferimento amplifica i vissuti di incertezza e di ansia. I corsi di preparazione al parto sono una mancanza particolarmente sentita: soprattutto se si tratta della prima gravidanza, molte mamme faticano a immaginarsi quegli aspetti del travaglio e del parto che invece, se adeguatamente anticipati ed elaborati, potranno aiutarle ad affrontarlo da protagoniste attive anziché come utenti passive. Informazioni, liste di cose con cui riempire la borsa dell'ospedale, condivisioni di esperienze, visite agli spazi sono tutti modi con cui iniziare a immaginare quello che accadrà con la sensazione di poterne far parte, ma anche per trovare incoraggiamento da chi ne ha viste tante e concedersi come ugualmente legittimi tanto vissuti come l'attesa e la fiducia, tanto il dolore, l'ansia e la vulnerabilità.

Trovarsi in questo momento all'inizio della gravidanza non alleggerisce le preoccupazioni: la paura di abortire, di ammalarsi andando al lavoro con conseguenze incerte per sé e per il bambino, di non essere seguite adeguatamente dal punto di vista medico o di esporsi al pericolo proprio durante la visita, possono risvegliare dei vissuti personali di angoscia e di abbandono. Questo accade in un momento in cui la madre inizia a porsi le prime domande sulla gravidanza, sulla sua adeguatezza e sulle trasformazioni che avverranno in lei e nel rapporto con il partner.

In alcuni casi la futura mamma potrebbe vivere con una buona dose di senso di colpa il pensiero, che probabilmente non confiderà a nessuno, che questo bambino non doveva arrivare ora: troppe poche sicurezze (anche economiche), troppe paure. Alcune coppie riescono a realizzare il loro sogno di diventare genitori dopo molti anni di tentativi, sofferenze e speranze abortite, e potrebbero essere spaventati dalla possibilità che, proprio quando ce l'hanno fatta, possa arrivare l'ennesima delusione.

Per ragioni simili alcune coppie che stavano programmando una gravidanza si ritrovano a domandarsi se è davvero il momento giusto, se è questo il mondo in cui vogliono mettere al mondo un figlio, o sono temporaneamente costrette a interrompere i tentativi a causa della separazione forzata.

Non esistono facili risposte agli innumerevoli vissuti e interrogativi con cui le future mamme si stanno confrontando. Come psicologhe e psicologi, è nostro il compito di aiutarle ad esplorare la complessità di quello che stanno vivendo senza appiattirlo su un facile ma insapore #andràtuttobene, trovando uno spazio congiunto per abitare anche ciò che non può essere anticipato, né tantomeno controllato.

Mamme e psicologhe (ma non solo)

In questo momento non credo di essere la sola, nella nostra comunità professionale, a ricoprire contemporaneamente i due ruoli di donna in attesa e di psicologa. È quello che sta capitando anche in altri ambiti della professione: stiamo aiutando le persone ad affrontare l'emergenza Covid-19, ma allo stesso tempo la stiamo vivendo anche noi in prima persona, e questo non può non toccarci. Il lavoro su noi stessi, la formazione e lo studio ci rendono capaci di guardare il nostro vissuto da una prospettiva sovraordinata, senza generalizzarlo o farcene inghiottire, ma utilizzandolo come punto di partenza per conoscere il mondo delle persone che incontriamo. In fondo, si tratta del doppio binario su cui si muove da sempre  la psicologia, esemplificato dalla metafora dell'occhio che guarda se stesso8. Non si tratta di un bias cognitivo, ma dell'unico modo possibile di approcciarci al diverso-da-noi: come scriveva George Kelly, il padre della Psicologia dei Costrutti Personali9, la psicologia, in quanto teoria sulle persone, non può che essere autoriflessiva.

Non è sempre una posizione comoda, ma credo che sia (anche) l'esperienza di condividere la fatica che ci permette di porci in ascolto e di accogliere proprio quegli interrogativi che non hanno ancora trovato voce.

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