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Le carte segrete. Così Paolo VI nel 1968 decise sull’enciclica Humanae vitae

di Luciano Moia
Il teologo Gilfredo Marengo analizzerà il supplemento d’indagine, finora secretato, chiesto da Montini alla Congregazione per la dottrina della fede e alla segreteria di Stato.-
Uno studio per riattualizzare il messaggio di Paolo VI sulla vita, per riportare alla luce il procedimento rigoroso scelto per documentarsi e approfondire la questione prima di scrivere Humanae vitae. Chi ha parlato di commissione segreta per azzerare o ribaltare con un ipotetico, futuro documento, le indicazioni di papa Montini sulla regolazione delle nascite, è quindi del tutto fuori strada. Lo studio avviato sull’enciclica in vista del 50° anniversario (25 luglio 1968), punta anzi spiegare, finalmente in modo esplicito, che il no ai 'metodi di regolazione artificiale delle nascite' è maturato attraverso vari gradi di giudizio, al di là dell’esito contraddittorio emerso dai lavori della commissione di cui spesso si parla a sproposito.
Non fu insomma una decisione solitaria di un Papa combattuto tra posizioni inconciliabili, ma un processo ecclesiale lungo e complesso, iniziato nel ’63 da Giovanni XXIII, proseguito con il lavoro della commissione, arricchito dalla decisione di Montini di coinvolgere poi nella riflessione la Congregazione per la dottrina della fede e la Segreteria di Stato. Quando Paolo VI scrisse Humanae vitae aveva di fronte a sé una serie di valutazioni, di ordine morale e pastorale, ma anche tecnico e scientifico, frutto di un lavoro puntuale e accurato che, dopo quanto emerso dalla commissione, proseguì ancora per circa due anni con il coinvolgimento di molti altri esperti. Sbagliato quindi affermare che fu Montini, da solo, tormentato dai dubbi e dalle incertezze, a prendersi la responsabilità di ribaltare il giudizio della commissione di esperti. Sia perché, com’è noto, l’esito finale della Commissione produsse un documento, votato a maggioranza, favorevole alla liceità della contraccezione artificiale.
E uno, di minoranza, che esprimeva invece una valutazione contraria. Quindi tutt’altro che un giudizio unanime. Sia perché, ad orientare e sostenere la decisione finale del Papa, furono successivamente coinvolti due organismi vaticani in un arco di tempo della durata complessiva di cinque anni. Quanto la Chiesa consideri rilevante tornare a far luce su tutti questi aspetti, in un momento in cui il dibattito sembra soprattutto orientato ad alimentare confusioni inutili e sterili contrapposizioni dopo l’uscita di Amoris laetitia, lo prova la deroga temporale concessa in via eccezionale per esaminare i documenti conservati negli archivi vaticani. Invece dei 70 anni previsti dalle norme che regolano l’accesso a questi archivi, le decine di faldoni che ospitano testi e documenti utilizzati da Paolo VI sono stati resi disponibili già da alcune settimane. La ricerca è condotta dal professor Gilfredo Marengo, docente di antropologia teologica del-l’Istituto Giovanni Paolo II. «Si tratta di un lavoro storico che – spiega – ha l’obiettivo di mettere in luce il valore delle conclusioni a cui arrivò Paolo VI.
L’impegno di documentazione e di analisi fu esemplare. E non sto parlando dei lavori della commissione che da tempo sono pubblici». Tutto quanto dibattuto e deciso dagli esperti, compreso il doppio, opposto, giudizio, è infatti stato reso noto e pubblicato addirittura prima dell’uscita di Humanae vitae. L’esito di quella discussione e delle relative conclusioni è conosciuto fin dal 1967. Fu una rivista americana, il National Catholic Register, a divulgare per prima tutto il materiale. In seguito i documenti furono oggetto di studio e di analisi da parte di altre decine di riviste e di saggi. E non c’è più nulla da scoprire. «Il materiale più vasto invece riguarda tutto lo studio che Paolo VI – riprende il teologo – fece condurre, dopo la conclusione dei lavori della Commissione, prima dalla Congregazione per la dottrina della fede e poi dalla Segreteria di Stato, dal giugno 1966 al luglio 1968.
La documentazione è conservata, in parte presso l’archivio della Congregazione, perché furono gli esperti di questo organismo a ricevere inizialmente il mandato di Paolo VI di riprendere in mano le conclusioni dei due documenti della Commissione, e in parte presso la Segreteria di Stato. Nel primo caso i lavori si svolsero dal giugno 1966 alla fine del ’67. Nel secondo dall’inizio del ’68 alla pubblicazione del documento, sei mesi dopo». Tutti questi studi, di enorme interesse, perché offrirono a Montini le basi per orientare il suo giudizio, non sono mai stati esaminati. Solo dopo averli attentamente studiati si potrà comprendere quali furono gli elementi che hanno dato forma all’enciclica – l’ultima del pontificato di Paolo VI – con quelle conclusioni.
Come si svolse il “riesame” della Congregazione per la dottrina della fede e poi della segreteria di Stato? «I lavori della Commissione furono metodicamente passati al setaccio e poi – riprende l’esperto – si formarono alcuni gruppi di lavoro in vista della stesura di una bozza della futura enciclica. Un po’ come si fa per tutti i documenti vaticani». Divulgare quel percorso in vista del 50° anniversario della pubblicazione, trattandosi soprattutto di un documento che ebbe un impatto di grande rilievo e suscitò polemiche e discussioni infinite, ha e avrà un grande interesse storico-critico. Tutto qui. Nessuno potrebbe pensare che studiare il percorso documentale con cui prese forma l’enciclica abbia a che fare con una valutazione del merito di quanto Humanae vitae insegna.
Anche perché papa Francesco, come emerge con chiarezza da Amoris laetitia, ha rivolto considerazioni di grande stima all’impegno di Paolo VI sul fronte dello sforzo compiuto per divulgare la consapevolezza di una maternità e di una paternità davvero responsabili. E lo stesso arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e gran cancelliere del “Giovanni Paolo II”, spiegando che non c’era alcuna commissione segreta incaricata di cercare elementi per “ribaltare” Humanae vitae si era detto convinto che dallo studio del percorso scelto per arrivare all’enciclica sarebbero emersi il rigore e l’impegno di Montini per definire un aspetto tanto rilevante nell’approfondimento e nella definizione della generazione umana. Cinquant’anni dopo è arrivato il momento di spiegare tutto con chiarezza di analisi e trasparenza di intenti. I complottisti si rassegnino. Qui non ci sono spunti per le loro fantasie malsane.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 30 agosto 2017

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