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Baby blues: facciamo chiarezza sulla tristezza e la solitudine delle madri

di Daniele di Geronimo

da www.gravidanzaonline.it
@Riproduzione Riservata del 08 febbraio 2023

Si può essere tristi dopo essere diventate madri? Sì, e non è nè una colpa nè qualcosa di sbagliato. Scopriamo cause e rimedi (e differenze con la depressione) del cosiddetto Baby blues.-

Intorno alla genitorialità c’è una narrazione romanzata e cinematografica che è molto distante dalla realtà. Ignoranza, pregiudizi, luoghi comuni e un insieme di altri fattori portano a ignorare o, peggio, sottovalutare, ciò che realmente si verifica con l’arrivo di un bambino. Il cosiddetto Baby blues (o maternity blues), un fenomeno che interessa tra il 70% e l’80% delle donne nelle prime settimane dopo il parto (secondo i dati del Ministero della Salute), è proprio uno di questi.

È importante porvi l’adeguata attenzione sia per aiutare le neomamme a comprendere ciò che stanno vivendo, sia per quelle che potrebbero affrontare un’esperienza simile, ma anche per coloro che, dal partner ai familiari passando per la rete sociale di ogni donna in gravidanza, dovrebbero avere un’attenta consapevolezza di una realtà che, sebbene generalmente transitoria e potenzialmente fisiologica, può facilmente degenerare in condizioni più serie e rappresentare un problema molto serio.

Baby blues: cos’è?

Il termine Baby blues, come riferisce l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, è stato coniato da Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista inglese, per indicare i sintomi leggeri di depressione che spesso interessano le donne nei primi giorni dopo il parto.

L’I.R.C.C.S. Ospedale San Raffaele chiarisce che si tratta di una condizione para fisiologica che è transitoria e reversibile causata prevalentemente dai cambiamenti ormonali tipici del puerperio.

Baby blues e depressione post partum

Nonostante possa apparire simile e nella manifestazione iniziale possono esserci delle somiglianze, il Baby blues non va confuso con la depressione post-partum. Le differenze sono sia nella durata che nell’intensità, ma anche nella spontanea regressione. Il Baby blues, infatti, non è una condizione patologica, tanto che non necessita di un intervento terapeutico di tipo farmacologico o psicoterapeutico.

Questo perché il Baby blues è meno intenso e grave dello stato depressivo e perché tende a risolversi spontaneamente nell’arco di due settimane. La depressione post parto, invece, non si risolve da sola e se non trattata persiste nel tempo, tanto che il 50% delle donne affette risulta depressa anche dopo 6 mesi e il 25% dopo 1 anno.

Inoltre i sintomi del Baby blues, come precisato dal Mayo Clinic, non alterano la capacità di prendersi cura del bambino, mentre nella depressione post-partum, complice il desiderio di isolamento, la paura di non essere una buona madre, gli stati ansiosi, gli attacchi di panico, il timore di fare del male al bambino e i ricorrenti pensieri di morte e suicidio, rappresentano un serio impedimento all’accudimento del bambino.

I sintomi del Baby blues

Dai giorni successivi alla nascita del bambino chi va incontro al Baby blues può sperimentare:

  • umore instabile;
  • crisi di pianto;
  • tristezza;
  • stanchezza;
  • senso di inadeguatezza;
  • irritabilità;
  • sentirsi sopraffatte;
  • ridotta concentrazione;
  • difficoltà a dormire;
  • poco appetito.

Inoltre, come è emerso da questo studio, più che alla sindrome depressiva il Baby blues sembra essere associato all’ipomania e a una psicosi puerperale caratterizzata da sintomi maniacali.

Quanto dura e come affrontarlo

Uno degli aspetti caratteristici del Baby blues, e che lo differenzia dalla depressione, è proprio la durata. Esso infatti inizia generalmente nei primi 3-4 giorni dopo il parto e non dura più di una o due settimane. Infine, oltre a risolversi spontaneamente, una volta superato si ripristina l’equilibrio ormonale della donna.

Compreso cos’è e come si manifesta il Baby blues, è importante capire cosa si può fare per superare questa fase. Per quanto breve e reversibile è importante non sottovalutarla e, anzi, una certa superficialità su queste dinamiche e argomenti è spesso responsabile dell’aggravamento di alcuni sintomi e della comparsa dell’idea che la colpa è delle neomamme che, se fossero più forti e più brave, non sperimenterebbero questa condizione.

Al di là del fatto che, anche fosse, la debolezza non è una colpa imputabile a nessuno, resta sempre fondamentale non esprimere giudizi che, oltre a essere inutili, si rivelerebbero dannosi e controproducenti. Ciò di cui si ha bisogno nei giorni e nelle settimane dopo il parto è di ascolto, supporto e rassicurazioni. Non compatimento o un atteggiamento di superiorità o sufficienza, ma la volontà di assistere la neomamma in una normale e fisiologica fase di profonda stanchezza la cui presenza non indica che non si è contente del figlio che è appena nato.

Con l’arrivo di un figlio la donna deve ritrovare una nuova identità personale ed è quindi necessario partire da questa consapevolezza. Ciò che il partner, i familiari e la rete di amici e conoscenti può fare è quella di creare le condizioni per cui la donna non sia travolta dalla maternità e non si trovi sola nella gestione del bambino. È fondamentale anche permettere e favorire che la donna si prenda del tempo per sé e consideri questo aspetto non accessorio alla propria vita né sacrificabile.

L’ultimo punto, che potrebbe essere considerato quasi preventivo, è legato all’impegno nell’affrontare il parto con consapevolezza e preparazione, anche scegliendo una struttura che permetta alla donna (e al partner) di vivere questi momenti con serenità e tranquillità, in linea con quelle che sono le proprie preferenze e scelte.

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