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CORRIDOI UMANITARI, CHE COSA SONO, COME SONO NATI, A CHE COSA SERVONO

da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 14 ottobre 2023

Il conflitto in corso tra Israele e Hamas riporta d'attualità i corridoi umanitari. Oggi, 14 ottobre 2023, ne sono stati annunciati da Israele due, uno alle 10 e alle 16, le organizzazioni internazionali e le Ong impegnate in terra di conflitto chiedono strade sicure per portare aiuti ai civili. Ma che cosa sono e che storia hanno i corridoi umanitari? Lo spieghiamo qui

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Un corridoio umanitario è un percorso, a carattere temporaneo, sicuro mediante il quale si forniscono aiuti o strade di evacuazione a civili in pericolo, intrappolati in zone di conflitto. Secondo la definizione che ne dà Sophia Hoffman alla voce Humanitarian corridor del libro Humanitarianism: Keywords, sorta di dizionario umanitario a più voci coordinato da Antonio De Lauri e pubblicato da Brill nel 2020: «Un corridoio umanitario è definito e caratterizzato da uno spazio ristretto e limitato, che lo distingue dai progetti umanitari realizzati in spazio più ampio o non limitato».

Si tratta di fasce di territorio che, all’interno di zone teatro di guerra vede la temporanea e locale sospensione delle azioni belliche per consentire il passaggio di convogli per il trasferimento dei profughi e per l’assistenza alle popolazioni. Le modalità possono essere diverse: riguardare la distribuzione di alimenti, generi di prima necessità o medicinali o consentire il trasferimento dei civili o dei soggetti più a rischio in zone sicure fino all’espatrio dei profughi con percorsi legali.

UNA STORIA IN TRE MOMENTI

Il primo esempio di corridoio umanitario riconosciuto a posteriori come tale, anche se non aveva ancora questo nome, è probabilmente il Kindertransport: un programma ideato da un giovane inglese, Nicholas Winton, che consentì di portare fuori, per lo più verso la Gran Bretagna ma non solo, bambini ebrei dalla Praga occupata dai nazisti. Lo fece con l’aiuto di volontari di Save the children fondata in Inghilterra nel 1919.

Gli storici individuano nella storia del diritto internazionale umanitario tre grandi fasi: la prima che va dal 1864 con la prima convenzione di Ginevra che per prima codifica il diritto internazionale umanitario alla Prima guerra mondiale. Lì si colloca Jean Henry Dunant, figura considerata capostipite del diritto umanitario moderno, fondatore della Croce Rossa e della Mezzaluna rossa, nel 1901 insignito del premio Nobel per la pace.

Una seconda fase, successiva alla Seconda guerra mondiale, le cui tappe sono: la fondazione delle Nazioni Unite (1945); la IV Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra (1949); l'istituzione dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), in cui completare gli interventi per i cittadini europei sradicati dalla guerra (1950), il suo mandato era inizialmente di tre anni poi è stato esteso a dieci ed è diventato permanente dopo il 1956 con la gestione dell'emergenza ungherese; la Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, base giuridica dell’assistenza ai rifugiati e guida dell’attività dell’UNHCR (1951). È questo il quadro giuridico in cui si inseriscono i corridoi umanitari. 

La terza fase si fa coincidere con l’inizio degli anni Novanta, quando l’aumento dei conflitti interni spinge molte persone fuggire dai luoghi in cui vivono: crisi complesse cui le organizzazioni internazionali devono cercare una risposta. Dal 1989 si sono visti aprire corridoi umanitari in Somalia, in Bosnia dove si fece un ponte aereo da Sarajevo, in Siria, in Ucraina. A partire dagli anni Novanta, la maggior parte dei corridoi umanitari è stata richiesta e negoziata sotto sotto l’egida dell’Onu. La creazione di un corridoio umanitario può avvenire in modi diversi: attraverso azioni diplomatiche con le parti armate in conflitto che accettano di cessare le ostilità nella fascia del corridoio, oppure nascere in modo più spontaneo quando molti civili insieme cercano un percorso verso la salvezza e sono aiutati da altri stati lungo il cammino. A pensarci bene questo secondo modello ha un antenato nella Underground Railroad, la rete informale che consentì agli schiavi afroamericani di fuggire negli "Stati liberi" e in Canada con l'aiuto degli abolizionisti. O ancora attraverso accordi tra agenzie e organizzazioni non governative e istituzioni laiche e religiose. 

QUANDO C'È BISOGNO DI CORRIDOI UMANITARI

L’esigenza si presenta soprattutto quando dentro un conflitto armato molti civili non riescono più ad accedere ai bisogni di prima necessità o perché si trovano a rischio sulla linea del fronte, e sono quindi un effetto collaterale tra le parti in conflitto o perché vengono colpiti direttamente posti deliberatamente sotto assedio, privati di luce, gas, acqua, cibo, assistenza sanitaria, sono tenuti sostanzialmente in ostaggio dal conflitto.

CHI HA PAURA DEI CORRIDOI UMANITARI

Un corridoio umanitario a volte sposta l’equilibrio della guerra perché i civili in una guerra possono anche essere usati e l’economia di guerra a livello locale perché la presenza o assenza di civili sposta la presenza di aiuti. Questa è una delle spiegazioni della difficoltà a trovare un accordo per l'apertura tra tutti gli attori coinvolti che possono avere interessi diversi. L’altra ragione è che l’apertura di un corridoio può attirare la vicinanza degli osservatori internazionali e le parti in conflitto temono che questo faciliti la contestazione da parte della Corte penale internazionale di crimini di guerra e contro l’umanità. Purtroppo la storia insegna che anche i corridoi umanitari possono essere violati.

SANT'EGIDIO E UN PROGETTO ITALIANO

In Italia si chiama Corridoi umanitari un progetto-pilota, realizzato dalla Comunità di Sant’Egidio con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e la Cei-Caritas, completamente autofinanziato. Ha come principale concedere a persone in fuga da guerre o "condizioni di vulnerabilità" (ad esempio, oltre a vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, anziani, malati, persone con disabilità) un ingresso legale sul territorio italiano con visto umanitario con i necessari controlli da parte delle autorità italiane e la possibilità di presentare successivamente domanda di asilo. Il progetto funziona dal 2016.

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