L'aborto nella Carta Ue. Il primo diritto è sempre la vita
di Giuseppe Anzani
da www.avvenire.it
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Se vi dicono che in tutto il mondo si approva il diritto di affermare la propria esigenza di “spazio vitale” a costo di fare la guerra; oppure il simmetrico diritto di fare la guerra per difendere il proprio spazio vitale dall’aggressione del vicino, gli uni e gli altri impiegando la vita della propria gente ad ammazzare la vita dell’altra gente, perché l’altra gente è una minaccia e distruggere la minaccia è virtù e dunque i massacri di guerra sono virtuosi, non dite che il giusto e l’ingiusto e il bene e il male sarà poi definito dal tribunale della storia. Dite piuttosto che parlare di diritto di uccidersi in guerra ha qualcosa di folle in sé, perché la guerra è la più tragica follia della condotta umana. Se si potesse estirpare dalla storia dell’umanità.
Se vi dicono che uccidere i figli nel grembo è un diritto a quello spazio vitale che si chiama autodeterminazione, o alla difesa da un intruso che lo aggredisce e va soppresso, e più presto lo si fa meno pensieri e meno turbamenti si generano, non dite che il vantaggio d’una volontà che si afferma sulla morte del figlio è un evento di salute riproduttiva. Dite piuttosto che l’aborto è in sé una tragica ferita, una piaga che falcia nel mondo più vittime di tutte le guerre. Se si potesse far cessare la strage degli innocenti.
Nei giorni scorsi ha visto la luce una Dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede intitolata “Dignità infinita” di ogni essere umano. Senza differenze di condizioni perché l’infinitò non ha graduazioni. Il figlio nel grembo partecipa di questa dignità. Del resto, la parola dignità è esattamente quella che apre il titolo primo della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, dove si dice che “la dignità umana è inviolabile”. E subito dopo si proclama la grande norma alla base di tutto l’impianto, il fondamento di tutte le altre norme: il diritto alla vita.
Ora il Parlamento europeo ha votato ieri una risoluzione che vorrebbe introdurre in quella Carta l’aborto. Lo mette a rimorchio di alcuni buoni propositi sulla condizione sanitaria, ma aggiunge al piatto come ultimo ingrediente proprio il veleno. Dice così: «Ognuno ha il diritto all’autonomia decisionale sul proprio corpo, all’accesso libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi servizi sanitari senza discriminazioni, compreso l’accesso all’aborto sicuro e legale». L’iniziativa non ha valore vincolante, è più che altro un auspicio. La materia sanitaria rientra nelle competenze nazionali e per modificare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e includere l’aborto occorrerebbe un accordo unanime di tutti gli Stati membri.
Ma il significato del voto sul piano culturale è pesante. Tradisce un pensiero insinuante che si propaga e vuol spianare il terreno alla convinzione che l’aborto è una prestazione sanitaria, un servizio a libero accesso; una cura della salute sessuale. “Sicuro e legale” sono gli aggettivi vincenti (chi mai lo vorrebbe insicuro e illegale?) con i quali viene in realtà espulso il nocciolo del problema a monte, l’ingiustizia dell’uccisione del figlio. Qualcosa di scontato, da non più discutere. Si discuterà invece se è meglio farlo con la cannula di Karman o il mifepristone, e se a farlo devono imparare obbligatoriamente gli studenti di medicina, traguardo anche questo auspicato.
Se la scrittura di una Carta dei diritti fondamentali ha qualcosa a che fare con la civiltà, quel che colpisce di più in questo Parlamento morente è l’assenza di un pensiero coerente con le basi giuridiche assodate: dignità inviolabile (art. 1) e diritto alla vita (art. 2). E si coglie una strana somiglianza con l’attuale pensiero cedevole sulla fatalità delle guerre e sugli arsenali da allestire per sapienti massacri, invece di impiegare le intere energie e risorse per la pace, per fare e per vivere la pace. Similmente, la maternità “difficile” ha bisogno di protezione, di soccorso, di aiuto. Un’Europa, come scrivono i vescovi, dove le donne possano vivere la maternità liberamente e come un dono per loro e per la società e dove essere madre non sia in alcun modo una limitazione per la vita personale, sociale e professionale. Di pace ha bisogno la vita, non di morte. Una somiglianza che proprio una donna, Teresa di Calcutta, - ricordate? - rivelò al mondo nel ricevere il premio Nobel per la pace.