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Come educare i bambini al valore dei soldi. Il buon esempio parte dai genitori

 
di Cristina Marrone
Il denaro non è un tabù ed è giusto parlarne ai bambini, spiegando chiaramente, fin da piccoli, che i soldi non si trovano sugli alberi, ma sono frutto di fatica e lavoro, senza tuttavia cadere nell’errore di trasmettere ansia. Come sempre è il buon esempio a premiare: i bambini osservano (e assimilano) i comportamenti dei genitori: se siamo i primi a sprecare denaro sarà difficile educarli al risparmio.-

A che età parlare di denaro (e l’importanza di dare il buon esempio)

«I bambini si accostano al tema dei soldi osservando i comportamenti dei genitori fin da piccolissimi. Già quando hanno tre anni in modo implicito noi parliamo loro dei soldi, quando ad esempio ci chiedono un giochino e la risposta può essere: “ti compro tutto quello che vuoi o faccio una selezione” spiega la professoressa Alessia Agliati, psicologa e docente all’Università Bicocca di Milano. «Per affrontare un discorso in modo esplicito e più articolato, affinché i bambini comprendano il valore del denaro è giusto attendere i cinque anni, quando sono sviluppate le competenze cognitive che permettono di capire che in cambio di un oggetto bisogna dare soldi, che si guadagnano con il lavoro. Lo stile che una famiglia ha nei confronti dei soldi passa comunque sempre attraverso pratiche contingenti: siamo noi a dare il buono (o cattivo) esempio» precisa la psicologa.

Il denaro non cresce sugli alberi ma...

I bambini molto piccoli possono vedere il denaro come qualcosa di magico con cui i genitori possono comprare tutti i giocattoli che vogliono, ma di fronte alle loro continue richieste diventa necessario chiarire che i soldi non si colgono sugli alberi, ma sono frutto di fatica e lavoro quotidiani. «Anche qui vale l’esperienza – chiarisce Alessia Agliati – i bambini vedono che i genitori sono fuori tutti i giorni, riconoscono che c’è un impegno ed è corretto spiegare che in cambio di quell’impegno viene assegnato uno stipendio utilizzato per soddisfare i bisogni della famiglia: comprare alimenti, vestiti, pagare bollette ma anche andare qualche volta al ristorante, acquistare giocattoli o andare in vacanza».

Io vado a scuola, è il mio lavoro. Perché non vengo pagato?

Naturalmente c’è da aspettarsi la domanda: ma perché io che vado a scuola, che è il mio lavoro, non vengo pagato? «Se il bambino andasse volentieri a scuola percepirebbe l’attività scolastica come un vantaggio e un’opportunità, ad ogni modo si può spiegare che la scuola è la base su cui costruire un futuro nel mondo del lavoro e che si tratta di un servizio che lo studente riceve più che un impiego per il quale bisogna essere pagati» spiega la dottoressa Agliati.

Non sprecare: serve coerenza

«Se vogliamo insegnare ai nostri figli a non sprecare denaro l’esempio deve partire dai genitori: se compro dieci paia di scarpe che poi lascio nell’armadio per usare sempre lo stesso, risulterà difficile negare i dieci giochi della playstation chiesti in regalo da nostro figlio. Serve coerenza, anche nel rapporto con i soldi» sottolinea ancora la professoressa Agliati che insiste sull’importanza del ragionamento: «Se nostro figlio ci chiede un giocattolo si può mediare con lui e porre delle domande. “È davvero necessario? È importante o è un capriccio? Non è uno di quei giochi che guardi appena lo ricevi e poi accantoni nell’armadio?”. Si può anche pensare di coinvolgere direttamente il bambino nel piano di famiglia per ottenere il regalo desiderato, specie se costoso, chiedendogli un contributo economico (parte dei suoi risparmi) o un contributo intellettuale ( mostrare interesse impegnandosi a scuola e nello sport). In questo modo viene attivata anche una pianificazione da parte del bambino. Soddisfare in modo acritico ogni richiesta incentiva invece la cultura dello spreco e non permette ai più piccoli né di mettere in atto la strategia dell’attesa né una serie di comportamenti volti a ottenere un risultato (atteggiamento che nella vita risulta assai utile).

Risparmiare (ma senza ansie)

In tempi di crisi come in questi anni ogni famiglia media deve fare i conti con le spese da affrontare mensilmente. Tra mutuo e bollette i margini di manovra sono sempre risicati. L’importante è non angosciare i bambini e non caricarli di stress, cosa che, anche senza volerlo, può succedere. Spiega la dottoressa Agliati: «Quando ripetiamo: “questo costa troppo” oppure “dobbiamo risparmiare” possiamo indurre un’attitudine al controllo che può essere ansiogeno e toglie anche un’idea di gratificazione che nella vita ci deve essere, come togliersi uno sfizio, certamente se possibile. Il rischio è quindi scadere nell’eccesso opposto. Quando una cosa costa troppo, invece di dire “costa troppo non ce lo possiamo permettere” si può cambiare risposta: “non possiamo permettercelo adesso, ma se rinunciamo ad altro magari possiamo farcela”. Per esempio il desiderio è una grande scatola di costruzioni? Si può proporre di rinunciare ai pacchetti di figurine settimanali per qualche mese. Si fa una scelta e tutto passa da una ripianificazione delle spese. È una strategia educativa, che vale anche per le famiglie che si possono permettere tutto».

Lezione al supermercato

Talvolta le spiegazioni verbali possono risultare troppo noiose e astratte: i bambini sono molto pragmatici e amano sperimentare quello che gli viene spiegato. Ecco allora che la differenza la fanno i comportamenti degli adulti. Quando andiamo al supermercato non diciamo subito no ai nostri figli che vorrebbero il carrello pieno di merendine e caramelle, ma cerchiamo di ragionare insieme a loro, invitandoli a scelte oculate. Proviamo a spiegare che non si può comprare tutto, ma che c’è un budget a disposizione e che magari si può approfittare delle offerte per risparmiare un po’ o è possibile scegliere un prodotto non di marca, identico a quello pubblicizzato, ma meno costoso. «Inoltre quando andiamo al supermercato cerchiamo sempre di ragionare ad alta voce: scelgo questo pacco di biscotti o l’altro? Qual è più conveniente ma nello stesso tempo buono? Sui bambini, come sempre, incidono molto di più le attività pratiche”»sottolinea la dottoressa Agliati.

I pagamenti elettronici: non sono gratis!

L’utilizzo di bancomat, carte di credito, telepass possono disorientare i bambini e spingerli a credere che si può comprare qualunque cosa senza spendere nulla. «Una soluzione comoda e semplice è portare i bambini al bancomat spiegando per bene che il denaro risparmiato è depositato e si può prelevare, con delle limitazioni, grazie alla tesserina e a un codice. Oppure quando paghiamo la spesa con la carta di credito leggiamo insieme lo scontrino» suggerisce la psicologa. Stessa cosa sul Telepass: va spiegato il funzionamento e se abbiamo figli come San Tommaso basta mostrare il rendiconto mensile. Infine, merita un chiarimento anche il mondo dei pagamenti online mostrando la procedura e il messaggio che segnala l’addebito avvenuto (facendo attenzione a non far spiare le password!).

La paghetta: quando darla

«Già dalle scuole elementari si può pensare di introdurre la paghetta, anche solo due euro a settimana, che può aumentare con l’età, in modo che i bambini possano gestirsi in autonomia le piccole spese come caramelle, figurine, giochini oppure scegliere di metterli da parte per acquistare un regalo più costoso (meglio concordarlo in anticipo se non si vogliono brutte sorprese!)”»suggerisce Agliati che aggiunge: «Istituire la paghetta induce l’idea di pianificazione, una competenza importante per tutta la vita».

È giusto dare una mancia se sistemano la loro camera?

Molti genitori scelgono di dare una mancia ai figli se li aiutano a sparecchiare la tavola o se sistemano la loro camera. Ma questi non sono doveri? «Io trovo questo genere di comportamento diseducativo – chiarisce Alessia Agliati – perché il rischio, molto elevato, è che il bambino o il ragazzo possa considerare tali azioni come un mezzo per ottenere la mancia, e che accetti di pulire la camera per il fine, e non perché è un compito di cui assumersi la responsabilità. Anche per la scuola, se un genitore dà la mancia per un 10 in matematica il pericolo è che il bambino faccia il possibile per ottenere un voto alto per andare all’incasso, e non per gratificare se stesso. Un ulteriore rischio è che a un certo punto pretendi di essere pagato per tutto. Viene meno il piacere della gratuità e del fare responsabile».

Il valore di donare

È molto bello quando un bambino arriva a donare qualcosa spontaneamente, anche se molte volte non è proprio così. «Sì può però cercare di incoraggiare il gesto solidale, invitando il bambino a regalare un gioco. Naturalmente più il giocattolo è amato, più il gesto di donare acquista valore – sottolinea la dottoressa Agliati – e l’atto di generosità va valorizzato, magari domandando: ‘non ti senti più contento a sapere che gli altri sono più felici grazie a te?».
da www.corriere.it
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