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Mio figlio si veste di rosa. Che faccio?

di Roberta Scorranese
Camilla ha 46 anni, tre figli e vive a Firenze. Camilla ha un figlio che, fin da piccolo, «fa cose da femmina»: vuole vestirsi di rosa, chiede di indossare le ballerine della sorella maggiore, sceglie penne e astucci con gli strass. Ma attenzione: Federico non odia il suo pisello (sebbene qualche volta giochi a nasconderlo e minacci di tagliarselo). Semplicemente Federico si vede meglio con la gonna, i lunghi capelli ricci raccolti e un paio di scarpe femminili. Che cosa deve fare allora Camilla? Ascoltare i consigli degli amici, in bilico tra compassione e rimproveri («Fagli uscire di testa queste stranezze, tu sei la madre e devi indirizzarlo bene»), oppure mettersi ad ascoltare attentamente suo figlio e cercare di capire come si sente, che cosa gli piace, che cosa lo fa felice? Camilla Vivian, autrice di Mio figlio in rosa (Manni edizioni) ha scelto la seconda strada. Quella più difficile: perché Federico non è mai banale. Non mostra attenzioni verso il sesso opposto e nemmeno una predilezione scontata verso entrambi i sessi.
Federico vuole vestirsi di rosa, perché gli sta bene così, perché è in questo modo che assomiglia a se stesso e perché — che diamine — uno potrà anche scegliersi il colore dei cappotti o delle scarpe. Alla domanda «Ma tu ti senti maschio o femmina?» Federico risponde spiazzante «Mi sento io». E così, poco alla volta, Camilla cerca di assecondare quello che lo rende felice o, quantomeno, adeguato alla sua natura. Vince il timore di lasciarlo andare a scuola con l’astuccio da Barbie, prova a conquistarsi la complicità delle maestre, cerca notizie e gruppi d’ascolto (in Italia sono pochissimi). E scopre che si tratta di disforia di genere, cioè di una incongruenza tra corpo e spirito. Nasciamo maschi ma ci sentiamo donne. Che non vuol dire essere omosessuali: vuol dire solo essere noi stessi.
Quello che affiora da questa testimonianza è una verità che fa sorridere: «fronteggiare il rosa» è molto più difficile per Camilla che per Federico. Noi genitori non siamo attrezzati a vedercela con questa fluidità identitaria e ragioniamo con rigidi sistemi binari. Per noi uno o è maschio o è femmina. Poi certo ci sono i maschi che amano altri maschi e le femmine che amano altre femmine. Non è così semplice. C’è anche il terzo sesso, appunto, cioè quella natura che si sente ingabbiata dentro un corpo maschile o femminile. A prescindere dalle future scelte erotiche. Ma il vero insegnamento arriva dalle reazioni di Federico. Che, quando la madre lo lascia libero, trova da solo una forza inaspettata: reagisce con fermezza a una compagna di banco che lo infastidisce, affronta la classe quando arriva con le ballerine, sfida i pregiudizi e forgia una serenità che nasce solo dalla libertà. Forse la chiave di tutto sta in questo: insegnare ai figli solo a essere liberi. Il resto è noia rosa. O azzurra. O blu. O verde. O gialla. O…
da www.corriere.it
@Riproduzione Riservata del 04 gennaio 2018

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