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Due sorelle disabili: «I politici non ci rispondono? E noi gliele cantiamo»

nella foto: Francesco Gabbani supporta la campagna di Maria Chiara ed Elena Paolini mostrando #liberidifare
di Gian Antonio Stella

Maria Chiara ed Elena combattono contro la burocrazia che le “chiude in casa”. Le loro lettere al premier e ai ministri sono finora rimaste senza risposta. La loro linea è: «Se abbattete le barriere architettoniche, quelle mentali ci faranno un baffo».-

«Niente?” chiese. “Niente” rispose il colonnello. Il venerdì seguente tornò alle lance. E come tutti i venerdì rientrò a casa senza la lettera attesa». Anche Maria Chiara (26 anni) ed Elena (22 anni), come l’anziano ufficiale di «Nessuno scrive al colonnello», attendono una risposta alla richiesta che vengano riconosciuti i loro diritti. Ma se Gabriel Garcia Marquez fa dire alla moglie del viejo militar che «occorre proprio avere una pazienza da bue per aspettare una lettera per quindici anni», le sorelle non hanno intenzione di rassegnarsi al destino. Hanno ragione.

È una vergogna che nessuno abbia mai risposto alla lettera che hanno inviato alle massime autorità italiane, sia attraverso il web sia, uno ad uno, a tutti i ministri. A partire da Paolo Gentiloni. Certo, l’esordio non era in diplomatese: «Come butta?» E così il resto. Era un atto d’accusa più che l’invocazione di una elemosina. Come disabili gravi impossibilitate a fare tantissime cose facili facili per chi disabile non è, ricordavano che: «Lo Stato ha il dovere di intervenire: proteggere le persone più vulnerabili e oppresse è proprio la sua funzione primaria. Andate a ripassarvi la Costituzione, la Carta dei diritti Onu del 2009 e le leggi specifiche. Poi applicatele».

E stanno mobilitando i social network in una «campagna di primavera» che dia uno scossone a chi è troppo sordo. «Una volta abbattute le barriere architettoniche, le barriere mentali ci fanno un baffo!», spiegano Maria Chiara ed Elena, «Scherzi a parte, se sei disabile ma puoi uscire quando vuoi perché hai l’assistenza, puoi viaggiare su un bus accessibile e puoi entrare nei locali che vuoi, i pregiudizi delle persone passano in secondo piano (ma anche terzo o quarto piano!). Nel senso che diventa un problema solo loro, e non più nostro». Marchigiane di Senigallia, «patria del brodetto e del Summer Jamboree e rinomato per le sue buche stradali» (copyright di Elena in un ironico annuncio alla ricerca di un’assistente: «A quanto pare, la gente va a lavorare nei bar che li fanno sgobbare dall’ora tot a oltranza, di notte, sei giorni su sette, e non capisce che ci sono orde di disabili già con i contratti in mano che vogliono assumere assistenti»), le due sorelle hanno difficoltà motorie pesanti e sono costrette a vivere su carrozzine speciali.
Ma non è bastato a fermarle: «Quando i tuoi muscoli sono un tantino inefficienti e anche sollevare un bicchiere non è uno scherzo», scrive Maria Chiara sul blog «wittywheels» (ruote spiritose), «devi per forza sviluppare tecniche alternative per fare le cose, secondo il principio per cui “la necessità aguzza l’ingegno”». A loro l’ha aguzzato al punto da spingere Maria Chiara a laurearsi in lingue, inglese e arabo, ed Elena in relazioni internazionali. A Londra. All’università Westminster dove, stando a un reportage sul sito BuzzFeed.com, hanno fatto vedere i sorci verdi ai responsabili dei servizi di assistenza tempestandoli di appunti per certe porte troppo strette, certi ascensori spesso guasti, certi accessi insuperabili. Tutti appunti presi sul serio in una società dove nella cultura della disabilità, spiegano le sorelle, «sono anni avanti rispetto all’Italia. Gli attivisti hanno fatto un ottimo lavoro soprattutto negli anni ottanta-novanta, sia di proteste vere e proprie, sia di collaborazione con le istituzioni».

Ad esempio, «lì lo sforzo per l’accessibilità di negozi ed enti pubblici è reale: si può sempre migliorare, certo, ma se sei in carrozzina è una città vivibile anche dal punto di vista dei trasporti». Certo, «i vari governi conservatori sferrano attacchi continui a questo sistema, ma è un diritto conquistato che bene o male resiste, mentre in Italia è assente o insufficiente». Ed è su questo che Maria Chiara ed Elena Paolini battono e ribattono con il blog, l’hashtag #liberidifare (postato dallo stesso Francesco Gabbani) e la pagina Facebook. Lo Stato, con i cittadini disabili al punto da non riuscire in certi momenti a «mettersi gli occhiali sul naso» deve fare di più. Molto di più. «Da sole non riusciamo a fare quelle cose che la gente di solito fa se vuole restare viva. Quindi mangiamo, ci laviamo, puliamo casa e abbiamo una vita sociale innanzitutto grazie a delle assistenti personali. Le nostre assistenti agiscono al posto delle nostre gambe e braccia, e questo ci permette di “fare cose vedere gente” e in generale vivere come ci pare. Le paghiamo grazie a due cose: i fondi ridicoli che lo Stato ci dà e gli enormi sforzi economici della nostra famiglia».

Per capirci: come spiega disabili.com gli invalidi totali non ricoverati ricevono mensilmente 279 euro di invalidità più un «accompagnamento» di 512 più un’integrazione dalle regioni, per una media di un migliaio di euro. Un quinto di quanto serve a un diversamente abile (Maria Chiara ed Elena non amano la definizione «perché è come dire diversamente bianco per un nero: un disabile è disabile, fine») per vivere in modo decente. Fino alla prossima estate le due sorelle, esempio formidabile di tenacia, ironia, intelligenza, hanno ottenuto una specie di una tantum. «Ma questi soldi finiranno presto, e allora dovremo limitare seriamente la nostra vita, e indipendenza, e felicità. La nostra libertà ha una data di scadenza». Ce la farà la politica, che di tutto parla in campagna elettorale tranne che di disabilità, a dare a Maria Chiara ed Elena una risposta?

da www.corriere.it
@Riproduzione Riservata del 22 gennaio 2018

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