Utero in affitto, ancora assolti
Assolti perché il fatto «non sussiste». Ancora una volta un tribunale rende lecito a colpi di sentenza ciò che la legge vieta (in Italia). È stato il tribunale di Bergamo, questa volta, ad assolvere una coppia di Albino (precisiamolo: eterosessuale) che si era recata a Kiev, in Ucraina, per ottenere un bambino con la pratica dell’utero in affitto. Era il 2013 quando la 'madre surrogata' ha partorito il bambino, poi come da contratto la coppia di italiani ha pagato e ha portato in Italia il bimbo iscrivendolo all’anagrafe, incorrendo così nella denuncia e nell’iscrizione nel registro degli indagati da parte del sostituto procuratore di Bergamo, Letizia Ruggeri, con l’accusa di 'alterazione di stato'. Il Comune di Albino si è quindi rifiutato di trascrivere la nascita del piccolo all’anagrafe comunale, ma la coppia ha impugnato l’atto. Il pm aveva poi chiesto la trasmissione degli atti in procura per la modifica del capo di imputazione da 'alterazione di stato' a 'divieto di maternità surrogata', con la volontà di chiedere al ministero della Giustizia l’autorizzazione a procedere, dato che il reato era stato commesso all’estero... Ma per i due è arrivata l’assoluzione disposta dal gup di Bergamo, Battista Palestra, 'perché il fatto non sussiste'. Intanto il piccolo, che ha Dna compatibile solo con il padre, è ovviamente iscritto all’anagrafe solo come figlio dell’uomo e non di sua moglie: sua mamma è una donna ucraina, che probabilmente non conoscerà mai. Il caso di Bergamo è solo l’ultimo di una lunga serie in cui le sentenze di magistrati finiscono di fatto per far aggirare ciò che la legge prevede. La scappatoia è offerta dalla stessa legge 40, quella che vieta rigorosamente la pratica dell’utero in affitto. Ma lo vieta solo quando è commesso in Italia: da qui la propensione ad andare a fare all’estero ciò che da noi è illegale. Alcune procure hanno ovviato a questa lacuna contestando alla coppia che commissiona il bambino il reato di 'alterazione di stato di minore', ma il procedimento penale in questi casi si può avviare solo su richiesta del Guardasigilli: secondo l’articolo 9 del Codice penale, infatti, se un cittadino italiano compie il reato all’estero, il colpevole è punito 'a richiesta del ministro della Giustizia'. Non a caso la settimana scorsa proprio al ministro Orlando la deputata Eugenia Roccella aveva presentato un’interrogazione chiedendo quali iniziative intendesse intraprendere per rafforzare le sanzioni contro il reato di utero in affitto, ma il Guardasigilli ha risposto che per sanzionare penalmente un fatto è necessario che sia considerato reato anche nel Paese in cui è stato commesso, e non solo in Italia... Una risposta bollata da Roccella come «burocratica ed elusiva», che di fatto non risolve nulla. Anzi, rafforza l’idea che la legge 40 si possa tranquillamente aggirare, «tanto poi non vi succede niente», come ha spavaldamente assicurato nel suo recente tour italiano Mario Caballero, guru californiano del business delle nascite, sbarcato da San Diego per trovare nuovi clienti. Pilatesco il ministero, schizofrenica la Cassazione, che nel novembre del 2014 sul profilo civilistico ha deciso che il miglior interesse del bimbo non è crescere con chi lo ha comprato, ma con gli unici genitori previsti dalla legge, ovvero quelli naturali o quelli adottivi (il neonato è stato tolto ai committenti e dato appunto in adozione); invece di recente si è pronunciata sul profilo penalistico per un altro caso di maternità surrogata compiuta all’estero, dicendo che il fatto non costituisce reato. Di «interpretazioni acrobatiche» ha parlato Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, ricordando che «se tali pratiche sono consentite altrove, urtano contro i princìpi essenziali del nostro ordinamento». Se un 'diritto alla genitorialità' esiste non è certo quello presunto, e troppo spesso evocato, degli adulti, ma solo del figlio – di ogni figlio – ad avere entrambi i suoi genitori.
Lucia Bellaspiga
Da www.avvenire.it del 30 giugno 2016
© riproduzione riservata