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Padova, papà dona un pezzo di fegato al figlio neonato e lo salva

Redazione Internet

Successo dell’équipe del professor Cillo dell’Azienda ospedaliera: «Lavoro di squadra». Vent’anni fa il precedente.-

PADOVA Dona un pezzo del suo fegato al figlio malato e lo salva. E’ successo al Centro di chirurgia epatobiliare e trapianti di fegato dell’Azienda ospedaliera universitaria di Padova, diretta dal professor Umberto Cillo. La storia ricalca quella che nel ‘97 da Padova fece il giro d’Italia, finendo perfino alle orecchie del Papa, che ricevette il fortunato ragazzo che aveva avuto dal padre, un ferroviere croato, una parte di fegato e si era così salvato dal tumore. Qualche tempo fa la storia si è ripetuta a Padova ed è stato di nuovo un papà a salvare il figlio, questa volta di pochi mesi. Così, grazie a una particolare autorizzazione del ministero della Salute del 2017, l’équipe del professor Cillo ha eseguito un nuovo trapianto di fegato da vivente, salvando il bimbo, che pesa 10 chili, grazie a un quarto del fegato del padre, che ha donato il lobo sinistro dell’organo.

La storia

Neppure un anno di vita e il peso fermo a 10 chili. La causa era una grave malattia del fegato, una crisi di atresia biliare che non lasciava scampo: ma a salvare il piccolo ci ha pensato il papà donandogli parte del proprio fegato con un trapianto da vivente a vivente. È accaduto a Padova, nell’Azienda ospedaliera, grazie al team guidato da Umberto Cillo. Un intervento che risale a tempo fa e reso noto solo ora. «Siamo riusciti a mettere sul campo tecniche di divisione del fegato così accurate e così precise sulla quantità di organo necessario per il trapianto che si possono asportare frammenti molto piccoli - rileva il professor Cillo -. Questi poi vanno conservati con tutti i peduncoli ed è questo l’aspetto più complicato. Il nostro è un lavoro di équipe, non solo i chirurghi, ma anche chi si occupa del coordinamento regionale del trasporto di organi. È un’azione corale che impegna circa 100 persone». Un intervento del genere «dura otto ore, ma anche 10 o 12. Una cosa è certa: non si può programmare mai quando finirà». Il piccolo poteva ricevere, grazie al via libera concesso da parte del ministero della Salute su richiesta del chirurgo, il fegato del padre o della madre perché per l’intervento non erano disponibili altri organi da persone decedute con un’età inferiore a 50 anni (come previsto dai protocolli). La madre è stata però subito esclusa perché in famiglia c’è un altro bambino e la scelta è caduta sul padre.

L’intervento, uno «split» come viene definito tecnicamente, ha portato all’asportazione del 25% del fegato del padre, praticamente l’intero lobo sinistro, che è stato immediatamente reimpiantato nel bambino. Un intervento complesso e articolato, ma che ha registrato un successo pieno tanto che padre e figlio ora stanno bene e dopo una breve degenza sono stati entrambi dimessi. Al Centro di chirurgia epatobiliare e trapianti di fegato dell’azienda ospedaliera di Padova solo nel 2017 sono stati compiuti 109 trapianti da donatore cadavere e uno da donatore vivente, quello - appunto - del padre che si è sacrificato per il figlio malato di atresia biliare. Il precedente caso di donazione da vivente è del 1997 quando un ferroviere croato donò parte del suo fegato al figlio malato di tumore, salvandolo. Il Centro nazionale trapianti ha ricordato che negli ultimi anni, grazie a un protocollo specifico, è stato possibile ridurre la lista di attesa per i piccoli pazienti che necessitano di un trapianto di fegato. Questo protocollo prevede che il fegato di ogni donatore deceduto sotto i 50 anni di età venga suddiviso in due porzioni per consentire altrettanti trapianti. Il primo a favore di un ricevente adulto, il secondo per un paziente pediatrico.

da www.corriere.it
@Riproduzione Riservata del 17 aprile 2018
 

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