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Alice, quattro anni in comunità a Milano: «Sono una seconda chance»

di Rossella Verga

Alice ha 23 anni e viene dall’Albania. La sua testa ha scelto di cancellare un’infanzia difficile. Tolta al padre naturale e poi adottata a 8 anni, si sta laureando con una tesi sulla legalità.-

«Io sono una seconda opportunità, credo sia evidente. E penso che tutti debbano averla. Anche per questo vorrei lavorare come educatrice, credo sia un modo per restituire quello che hai avuto». Alice è un nome di fantasia. Ma questa è la storia vera di una ragazza che oggi ha 23 anni e vive nell’hinterland milanese. Abita con mamma e papà (adottivi). Ha due sorelle, di 26 e 28 anni. Accanto, i nonni e gli zii, le compagne della pallavolo e i tantissimi amici che l’hanno aiutata a diventare quello che è: una ragazza «normale» con una vita «normale». Alice ha «un po’ di buchi nel passato», ma un presente pieno di soddisfazioni. Mancano due esami alla laurea in Scienze dell’Educazione e la sua tesi sarà sulla legalità.

Viva la legalità

«Non so perché sono così affascinata dalla legalità, ma è innegabile. E per la mia tesi ho voluto prendere ad esempio l’associazione di Gherardo Colombo “Sulle regole”, lui è uno dei pochi in Italia che fa un lavoro sulle regole anche con i bambini. Non lo conoscevo. L’ho sentito parlare a un seminario e ho deciso di approfondire l’argomento». Non lo sa, Alice, perché la legalità è un tema che le è entrato dentro. Forse per capirlo bisogna riavvolgere il nastro fino ai primi anni della sua vita, dopo che è arrivata in Italia dall’Albania. Gli anni dei maltrattamenti. Una notte, quella notte che ha segnato l’inizio della «seconda opportunità», è stata strappata al padre naturale e portata nella casa de «La Fanciullezza», la Onlus milanese fondata oltre 100 anni fa per dare rifugio ai minori senza famiglia e negli anni diventata un luogo di accoglienza per bambini e ragazzi in difficoltà, ma oggi anche un punto di aggregazione giovanile. Di «quella notte» Alice non ricorda nulla.

 A teatro

Ma la sua vicenda è stata reinterpretata così dall’attore teatrale Antonio Gargiulo, nella sede de «La Fanciullezza»: «Alice ha pochi anni. È avvolta in una coperta, in braccio a un poliziotto con gli occhi lucidi. Lui è gigantesco. Lei fragilissima e spaventata, i capelli lunghi probabilmente mai tagliati. Gli occhi sbarrati nel viso minuscolo e un pianto disperato». Così Alice, come ricordano gli educatori, ha fatto il suo ingresso nella casa protetta di Milano. Dove con il passare dei giorni ha ritrovato il sorriso, con le tempere colorate sempre impiastricciate sulle mani, lo smalto rosso e il pigiama troppo grande. E poi il salto alle elementari del quartiere. Quattro anni in comunità finché, attorno agli otto, è arrivata finalmente l’adozione. Ma per lei non è stato facile voltare pagina. In mezzo ci sono state tante telefonate con il papà violento, con la nonna minacciosa.

Dimenticare anche la lingua

Nella lingua d’origine che a un certo punto Alice ha deciso di «dimenticare». «Ho finto di non capire ciò che mi dicevano - racconta - Ho staccato, chiuso. Sono sempre stata testarda e questo è stato il mio modo di dire basta». Con l’adozione per Alice è iniziata una nuova vita. «Nell’estate dei miei 8 anni ho cominciato a conoscere la famiglia. Non è stato facile lasciare la casa della Fanciullezza. Lì c’era la mia educatrice, c’erano gli amici. Eravamo tanti bambini, sempre insieme. Ci venivano a prendere a scuola e dopo aver fatto i compiti facevamo sport e giocavamo. Ho dei ricordi bellissimi di quel periodo. All’inizio infatti è stato difficile staccarmi dalla comunità, forse è stato più difficile che entrarci...».

Il ritorno

Ecco perché per qualche anno Alice non è più tornata. Un taglio netto per poter ricominciare. «Poi ho sentito l’esigenza di rivedere il luogo che è stato parte della mia vita. E ancora adesso ci torno ogni tanto e ritrovo le educatrici impegnate con i ragazzi». Alice è cresciuta in un piccolo comune. «Non avrei potuto desiderare una famiglia diversa», dice. «I miei genitori sono fantastici, come le mie sorelle e tutti i miei familiari». Ora fa l’università a Milano. Dove ha anche un lavoro part time. «Faccio assistenza a un signore con la sindrome di Down». In estate le esperienze di volontariato: un campo di «Libera» in Calabria e in Africa con gli «Educatori senza frontiere». Eccola l’Alice di oggi. Una ragazza sorridente che guarda solo avanti. Ce l’ha fatta. Ha saputo cogliere tutta la sua «seconda opportunità». E quello che è rimasto dietro è «un’immagine sfuocata». «Vedo dei flash dei miei primi anni... Non mi ricordo neanche com’era mio papà. Ricordo soltanto le sue mani. Grandi. Tutte rovinate... faceva il muratore». Non si comportava da padre, anche se questo Alice non lo dice.

da  www.corriere.it/buonenotizie.it
@Riproduzione Riservata del 28 novembre 2017

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