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Asili nido e congedi, la Cina cerca più figli

Ancora non molto tempo fa le previsioni di una Cina dominatrice del secolo in corso sembravano concrete, quasi certe. Oggi, per molti, le prospettive di uno stallo se non di un arretramento cinese sembrano più inquietanti che non la passata, drammatica, ascesa. La crescita del prodotto interno lordo cinese è passata da una consistenza ventennale a due cifre a un dato previsto per l’anno in corso del 6,7%. I consumi, che già sul Pil incidono per quasi il 70%, hanno spazi assai limitati di crescita, mentre gli investimenti arretrano per un eccesso di offerta e l’export arranca per la ridotta domanda globale. Con un mercato azionario che si va arenando e una fuga di capitali che nel 2015 è stata di 1.000 miliardi di dollari, se non si può parlare di "crollo" del sistema-Cina, sicuramente le condizioni dell’economia nei suoi fondamentali restano aperte più a incognite che a entusiasmi.

A questo va aggiunta la percezione da parte delle diplomazie e degli investitori di un Paese in modo crescente ostile. Ancora una volta appare chiaro che la politica estera, le mosse strategiche, le iniziative economiche e finanziarie cinesi nel mondo sono conseguenza di scelte interne. La leadership comunista ha una leva potente nella centralità globale che i cinesi, espressamente o implicitamente, considerano proprio diritto, ma deve indirizzare e blandire una popolazione di 1,35 miliardi di individui che abbisogna di risorse e prospettive, sicuramente meno docile di un tempo e più aperta alla realtà internazionale. Caso forse unico nella storia, chi governa la Repubblica popolare cinese si trova oggi non solo a fronteggiare un ridimensionamento, ma ancor più a dover rimediare ai danni di scelte demografiche che hanno privato il Paese del necessario "carburante" umano nel momento in cui avrebbe più bisogno di braccia efficienti e di menti preparate. L’ultra-trentennale "politica del figlio unico" è ora sostituita da quella "dei due figli", ma all’arretramento demografico si associa ormai la disaffezione dei cinesi verso la prole, considerata da molti un fardello sul benessere personale e da altri vista con preoccupazione per il futuro dei figli.

A ricordarlo di recente su The Atlantic, storica pubblicazione indipendente Usa, è stato Howard French, autore, tra l’altro di China’s Second Continent: How a Million Migrants are Building a New Empire in Africa (Il secondo continente cinese: Come milioni di emigranti stanno costruendo un nuovo impero in Africa). Il declino demografico sarà impressionante. Oggi in Cina ci sono cinque cittadini attivi per ogni pensionato, ma già nel 2040 questo rapporto sarà crollato a 1,6 attivi per ciascuno inattivo per anzianità. Se a quest’ultimo dato si associa una percentuale di ultra-sessantacinquenni che dai 100 milioni nel 2005 arriverà a 329 milioni alla metà del secolo, è facile immaginare le conseguenze, soprattutto sulla crescita economica e su un welfare al momento rudimentale. Le immense risorse finora rastrellate sui viali, ma anche sovente nei vicoli oscuri della crescita pagata duramente da centinaia di milioni di cinesi e deviata in parte per costruire il ruolo globale del Paese, dovranno essere reindirizzate, ma anche razionalizzate. Già ora sono più i cinesi che escono dalla forza lavoro rispetto a quelli che vi affluiscono: nel 2015 la popolazione attiva si è ridotta di 4.87 milioni di unità. Il ridimensionamento delle forze armate da 2,1 a 1,8 milioni di effettivi risponde soprattutto a esigenze di contenimento dei costi, non solo sul piano delle spese correnti e dei salari, ma più ancora su quello pensionistico. Come pure il taglio annunciato di milioni di addetti nel sistema industriale statale. Difficile il passaggio in tempi brevi da un Paese noto per avere una politica organica di repressione delle nascite a uno che promuove una politica di espansione demografica. A inizio marzo, il primo ministro Li Keqiang ha delineato i nuovi incentivi per chi vorrà avere più figli: asili aperti a tutti i bambini, anche sotto i tre anni, contributo per tre anni alle neo madri dal secondo figlio equivalente al 70-80% del reddito medio dell’area di residenza, incentivi fiscali, detrazione dei costi di istruzione. Pechino offre dalla primavera un ulteriore mese di congedo di maternità. Shanghai si è posta all’avanguardia dell’integrazione degli immigrati dalla "Cina profonda" per metterli in grado di godere di uguali diritti e benessere, pagare le tasse e contribuire a colmare il gap demografico.

Troppo presto per dire se i provvedimenti centrali e quelli locali potranno risvegliare maternità e paternità sopite. Per molti potrebbe essere "troppo poco e troppo tardi". Crescente costo della vita, precarietà degli impieghi e carico posto sulle donne da mariti, figli e genitori anziani sono un disincentivo potente. Alcuni hanno notato l’uso ufficiale del termine "sostegno" e non quello di "incoraggiamento" riguardo il rilancio della prole, a indicare un’azione limitata a garantire i figli, più che chi ne avrà la responsabilità per molti anni; a garantire livelli di popolazione ma non qualità della vita in linea con le aspettative. Conferma simbolica ma di vasta risonanza sui social media cinesi la lettera aperta diffusa nei giorni scorsi dai responsabili di partito della municipalità di Yichang nella provincia di Hebei in cui si esorta i cittadini a una prolificità maggiore approfittando delle aperture. «I giovani quadri hanno il dovere di dare l’esempio sul secondo figlio, mentre i quadri anziani dovrebbero spingerli» a procreare. «Se le cose continueranno così – prosegue la lettera – ci saranno enormi rischi e danni all’economia e alla situazione sociale della città, e ne risentirà anche il sostentamento delle nostre famiglie».

Urge una "strategia demografica" anche in funzione internazionale. «A partire dal 2020 i leader cinesi si troveranno davanti a due opzioni: consentire crescenti livelli di povertà nel contesto di una popolazione in invecchiamento esplosivo, oppure fornire le risorse necessarie a evitare questa situazione», segnala in un articolo pubblicato in aprile in MercatorNet, Mark Haas, docente alla Duquesne University e tra gli autori di Political Demography: How Population Changes Are Reshaping International Security and National Politics (Demografia politica: Come i cambiamenti demografici stanno ridefinendo sicurezza internazionale e politiche nazionali), pubblicato nel 2012 dallo statunitense Winston Center. In prospettiva, la "pace geriatrica" eviterà di mettere in discussione il predominio militare Usa.

Un elemento, quello demografico, a favore degli analisti che ritengono che il sorpasso cinese sugli Usa non sarà mai, anche per un’altra ragione essenziale. Gli States hanno una capacità di assimilazione superiore a quella di ogni altra potenza economica, con ricadute positive su fiscalità, welfare e salari. Nonostante la propaganda politica contraria, l’immigrazione resta tra i fattori che più sostengono il benessere americano. Non a caso la forza lavoro Usa è prevista in incremento del 31% dal 2010 al 2050. Come segnala un demografo dell’Accademia cinese delle Scienze citato ancora nel saggio di Howard French: «Tra uno o due decenni la pressione sociale e fiscale prodotta dall’invecchiamento costringerà a quello che molti cinesi trovano inconcepibile per la loro nazione: una crescente necessità di attrarre immigrati». Tuttavia, prosegue ancora l’accademico, «quando la Cina sarà "vecchia", tutti i Paesi da cui importare lavoratori lo saranno. Da dove sarà allora possibile importare popolazione? L’Africa sarebbe il solo luogo utile ma è difficile immaginarlo».

Stefano Vecchia

Da www.avvenire.it del 24 settembre 2016

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