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ATTILIO FONTANA. SAN PIO MI HA CONQUISTATO, SULLA SCENA E NELLA VITA

di Francesca D'Angelo

L’attore è autore e protagonista di Actor Dei, il musical su padre Pio in cartellone nei teatri italiani. A Credere racconta il suo rapporto con il santo di Pietrelcina.-

Quando gli chiesero di scrivere e interpretare un musical su padre Pio, Attilio Fontana si documentò a lungo, seppellendosi tra libri, scartoffie e documenti ufficiali. Era preso dall’angoscia, come lui stesso ammette, di non essere all’altezza del personaggio: di non riuscire a restituirne quell’impasto di umanità e conflitti.

Eppure, in quei tomi così puntuali, l’attore non riusciva a scorgere fino in fondo la figura di Padre Pio: era come se qualcosa di importante gli stesse sfuggendo.

Tale sensazione lo abbandonò solo quando decise di andare a Pietrelcina e di camminare tra la gente di padre Pio, percorrendone i vicoli esistenziali. Lì, e solo lì, ogni ricordo, ogni commento, diede finalmente corpo e colore a quel santo la cui immagine appariva, prima, così sfuggente. E forse non poteva essere altrimenti: il prete della gente, padre Pio, lo trovi per le strade e nei crocevia del cuore.

L’incontro con le persone che lo avevano conosciuto, amato e criticato gli restituì dunque un ritratto verace e ricco di contrasti che Fontana, insieme ad altri cinque autori, ha deciso di portare in scena, nello spettacolo Actor Dei, attualmente nei teatri italiani. Al centro, la figura di padre Pio, ma non solo: «Raccontiamo anche la storia di questo popolo che a volte lo sostiene, altre volte lo tradisce, ma alla fine ne raccoglie il testimone. Ed è questo, secondo me, l’aspetto più bello», spiega Fontana, che nello spettacolo interpreta proprio il ruolo del santo di Pietrelcina.

«Actor Dei»: perché avete scelto questa definizione del santo di Pietrelcina?

«Abbiamo voluto definirlo “attore di Dio” perché è un uomo che interpreta la croce con la sua stessa vita. Padre Pio è una figura piena di conflitti: soffriva di una grave malattia, si diceva avesse questi incontri con il demonio, poi ha ricevuto le stigmate. Purtroppo oggi i ragazzi si stanno un po’ dimenticando di questo santo. Per tale ragione abbiamo deciso di sposare il registro del musical: vogliamo arrivare ai giovani. Oggi più che mai, in quest’epoca dei like a tutti i costi, c’è bisogno di tornare ai sentimenti più profondi della vita».

Quale insegnamento padre Pio potrebbe offrire alle nuove generazioni?

«In primo luogo, il rispetto delle regole. Padre Pio è stato indagato, punito e perfino recluso da quella Chiesa che lui considerava madre. Eppure ha sempre accettato tutto, ha accolto ogni cosa, anche quando quella madre sembrava così severa e ingiusta nei suoi riguardi. L’altro insegnamento decisivo è l’umanità: padre Pio ha costruito un ospedale che si chiama “Casa sollievo della sofferenza” perché si rivolgeva agli ultimi, a chi versava nel dolore. Era un uomo che confessava anche 200 persone al giorno, pur sapendo che sarebbe arrivato stremato la sera. La mia impressione è che invece oggi si sia perso questo sguardo verso l’umanità dell’altro. Nessuno si sporca più le mani: ci limitiamo a dare un’opinione, a essere pro o contro sui social. Per esempio, è facile dire che le barche che partono dalla Libia non possono arrivare in Italia, mentre lo è meno calarsi nei panni di chi ci sta sopra: stiamo pur sempre parlando di persone, di donne e bambini. Non dovremmo dimenticarlo».

Qual è il suo rapporto con la fede?

«Sono credente ma, lo ammetto, pecco di poca costanza nell’andare in chiesa, anche per via del mio lavoro. Se c’è però un aspetto che mi affascina ancora oggi della fede, e che ritrovo in figure come Gesù, padre Pio o san Francesco, è questo accogliere le persone nonostante tutto. Saperle amare e perdonare, pur vedendo la loro miseria umana. Per questo motivo, anche se oggi se ne sentono di tutti i colori sulla Chiesa, questi personaggi restano un faro per me: in fondo la tentazione più grande è proprio quella di avere misericordia quando si va in chiesa e diventare razzisti appena si mette il piede fuori dalla porta. Nel mio piccolo cerco di fare la differenza: mi piace immaginarmi come un piccolo soldatino che promuove un messaggio di condivisione e accoglienza».

Era già devoto a padre Pio?

«Nella mia famiglia molti lo sono, a cominciare da mia madre. Da quando però ho accettato di lavorare al musical, sento padre Pio molto presente nella mia vita, quasi come un angelo custode. Preferisco non scendere nel dettaglio, perché si tratta di aspetti privati, però mi sono spesso affidato a lui nei momenti di difficoltà. Inoltre mi è stato vicino quando io e la mia compagna siamo stati coinvolti in un brutto incidente stradale: lei era all’ottavo mese di gravidanza ed eravamo terrorizzati, bloccati nell’abitacolo accartocciato della macchina. In quel momento, non so come, mi sono ritrovato accanto il santino di padre Pio, che ero sicuro di aver riposto dentro al portafoglio. In quel momento, vedendolo, ho pensato: “Andrà tutto bene”».

Così è stato?

«Esatto. Il bambino è nato, sano come un pesce. L’abbiamo chiamato Blu Francesco Pio: ci piaceva il nome Blu, ma desideravamo anche che nostro figlio facesse propria quell’idea di umanità e di accoglienza di cui le parlavamo prima. Da qui, il nome Pio. Francesco invece è un omaggio a san Francesco d’Assisi e al nostro Papa, che sa parlare alla gente».

da www.famigliacristiana.it

@Riproduzione Riservata del 26 luglio 2018

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