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Buone notizie per i bimbi con una rara e aggressiva forma di leucemia

di Vera Martinella

Grazie alla collaborazione di centri di ricerca europei e americani (con l’Italia capofila) trovata la giusta combinazione di farmaci: risparmiare il trapianto a metà dei pazienti.-

Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Francia, Germania, Hong Kong e Italia come capofila. I ricercatori di decine di centri in diversi Paesi nel mondo hanno unito gli sforzi per poter fare progressi contro una forma particolarmente aggressiva di tumore del sangue, rara in bambini e adolescenti e tutt’oggi può essere letale nella metà dei casi: la leucemia linfoblastica acuta Philadelphia positiva. Due studi presentati recentemente durante il congresso della Società Americana di Ematologia (Ash) ad Atlanta aprono però nuovi scenari.

Solo 12 casi all’anno in Italia

«Sono circa 450 i nuovi casi di leucemia linfoblastica acuta diagnosticati ogni anno in Itali e soltanto il 2,5 per cento di questi (circa una dozzina in tutto) rientra nel sottogruppo positivo per il cromosoma Philadelphia - spiega Andrea Biondi, direttore della Clinica Pediatrica alla Fondazione Monza-Brianza, San Gerardo di Monza -. Un sottogruppo rarissimo, di una malattia già di per sé rara in bambini e adolescenti, con una prognosi severa che lasciava probabilità di guarigione solo nel 30 per cento piccoli pazienti, prima dell’introduzione dei nuovi farmaci diretti contro i gene “malato” (il cromosoma Philadelphia positivo, appunto). Con l’arrivo di questi medicinali (come imatinib o dasatinib), negli ultimi anni si è però osservato un progressivo miglioramento e abbiamo raggiunto oltre il 65-70 per cento di guarigioni a 5 anni dalla diagnosi». L’iter di cura standard per la leucemia linfoblastica acuta Philadelphia positiva attualmente prevede la somministrazione di imatinib e dasatinib insieme alla chemioterapia e al trapianto di cellule staminali emopoietiche, a cui viene sottoposto oltre l’80 per cento di bambini e adolescenti con questo tumore.

Meno trapianti

«Entrambi gli studi presentati al convegno ad Atlanta, hanno adottato i due diversi farmaci, imatinib e dasatinib, con la stessa chemioterapia intensiva e hanno dimostrato che è possibile ottenere risultati con una guarigione oltre il 70 per cento, ricorrendo al trapianto però soltanto nel 40 per cento dei casi – dice Biondi, che è anche tra gli autori principali delle ricerche. Quindi i successi con chemioterapia e farmaci “intelligenti” riducono la necessità del trapianto, che è causa di effetti collaterali importanti specie nei bambini guariti. Inoltre non si sono osservati differenze nell’uso di imatinib e dasatinib: anche questo è un risultato importante perché non sarebbe stato possibile condurre studi di confronto (visto che le aziende farmaceutiche non hanno alcun interesse a mettere a confronto i loro prodotti) se non grazie alla cooperazione tra tutti i centri europei e americani, che collaborando e utilizzando lo stesso protocollo di chemioterapia e le stesse indicazioni al trapianto hanno potuto ottenere una risposta importante».

da www.corriere.it
@Riproduzione Riservata del 27 dicembre 2017
 

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