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«Calci e pugni a mio figlio, la scuola non lo difende dalle botte del bullo»

Il caso a Lodi - di Andrea Galli

Picchiato 12enne in classe. Il papà, dopo la denuncia che ha innescato l’apertura di un’inchiesta (dalla Procura di Lodi il fascicolo passerà a quella dei minori di Milano), ha accettato di confidarsi con il Corriere. «I professori si voltano dall’altra parte».-

Un pestaggio feroce che, come documentato dai referti medici dell’ospedale di Lodi, ha provocato un trauma cranico e costole incrinate. Un pestaggio prolungato perché i calci, i pugni e le gomitate sono durati almeno dieci secondi. Un pestaggio non in un luogo isolato ma in uno pubblico qual è la classe di una seconda media. Eppure il professore presente ha ripetuto di non essersi accorto di nulla, ovvero di non aver visto quel suo studente 12enne spinto a terra e aggredito dal compagno di tre anni maggiore (per via delle ripetute bocciature), e la stessa scuola ha tardato a chiamare subito la mamma della vittima che abita a mezzo chilometro di distanza; e ha cercato e cerca, quella scuola, di sottovalutare l’accaduto, risalente al 18 dicembre in un paese di settemila abitanti della provincia di Lodi. Il papà del 12enne, dopo la denuncia che ha innescato l’apertura di un’inchiesta (dalla Procura di Lodi il fascicolo passerà a quella dei minori di Milano), ha accettato di confidarsi con il Corriere.

La «lezione» dei docenti

Un cellulare. E una serie di fotografie: sono i segni delle botte sul corpo del ragazzino. «C’è un’altra immagine che deve guardare. Ecco, questo è mio figlio. Vede che volto? È un tipino buono, garantisco, forse perfino troppo... Noi viviamo così... Mai l’uso della violenza e sempre l’educazione, il rispetto delle regole. Non le sto mentendo: quando lui sbaglia, sono il primo a essere severo. Pochi giorni prima dell’aggressione, tutti i genitori della classe erano stati chiamati dai docenti. È una classe un po’ vivace... I professori ci avevano fatto una testa tanta affinché spiegassimo ai figli la giusta condotta a scuola. Sono tornato a casa e ho preso mio figlio: “Guai a te se ti comporti male, guai...”. Dopodiché, in quell’aula è successo quel è successo... Mi faccio tante domande. Per quale motivo dopo il pestaggio non ci hanno avvisati? Io lavoro a Milano, d’accordo, ma la madre no, sta in paese... Hanno lasciato mio figlio dolorante, gli hanno messo del ghiaccio sulle costole e amen... Nell’immediato non è stata presa nessuna misura contro il bullo... L’hanno sospeso per tre giorni in concomitanza con le vacanze di Natale e forse solo perché avevamo presentato denuncia... Oltre a esser stato ferito e aver passato giorni di riposo forzato, mio figlio continua a stare nella stessa classe con quel compagno. Da allora in casa si è zittito. Chi mi garantisce che le violenze siano davvero terminate? Chi? Forse il preside che mi sembra non voglia avere noie?».

I prepotenti del paese

Concentriamoci su quest’ultima parola: «noie». Serve una spiegazione: «Io mi sto facendo un brutto film, nella testa. A scuola hanno terrore. L’aggressore è il figlio di una famiglia di prepotenti, nota pure alle forze dell’ordine. Capita, nelle piccole comunità: arrivano da fuori, in questo caso da una regione lontana, dei personaggi che si “impongono” con la cattiveria, e l’hanno sempre vinta. Nessuno vuol mettersi contro. Tirare a campare facendosi i fatti propri... Ma possono dei professori subire e inchinarsi? Si dice, e le voci sono parecchie, che quel 15enne giri con un tirapugni. Lo ha addosso anche in classe. E si dice che ci siano state altre vittime ma che, sempre per paura, i genitori tacciano. Prima dell’aggressione, mio figlio era stato inseguito dal bullo fino a casa: aveva corso e per un soffio s’era salvato chiudendosi la porta alle spalle. Ma quello gliela aveva giurata... Al ritorno a scuola dopo le vacanze, ha mandato un suo amico da mio figlio per dire che deve portargli il massimo rispetto... Ma dove siamo? Ho osservato mio figlio, al rientro: si guarda intorno come se ogni volta fosse pedinato da qualcuno che vuole tendergli un’imboscata...».

La «canna» in aula

Un pestaggio feroce, come detto. Del quale s’ignorano le cause scatenanti. «Ci sono delle ipotesi ma tali restano perché mio figlio, lo ripeto, s’è chiuso nel più assoluto mutismo. Siccome il bullo, in classe, si stava preparando una “canna”, mio figlio l’avrebbe fatto notare a un professore... Quella “dritta” sarebbe arrivata, con anche il nome di chi l’aveva fatta, all’aggressore, che ha deciso di “vendicarsi”. Mancano mesi, alla fine della sessione scolastica. E poi c’è tutto il prossimo anno. È impossibile, in considerazione di quanto le ho raccontato, almeno ipotizzare di spostare il 15enne in un’altra classe? Cosa stanno aspettando? Che capiti ben altro di peggio? Rispetto chiunque e non mi permetto di dare insegnamenti. Ma una scuola deve essere forte, coesa, severa, convincente. Deve proteggere le vittime, non i piccoli boss. A costo di rischiare, affrontare di petto una questione o persone che possono spaventare. Altrimenti si viene meno al proprio mestiere e alle proprie responsabilità».

da www.corriere.it
@Riproduzione Riservata del 24 gennaio 2018

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