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IN CAMMINO PER RITROVARE DIO E SÉ STESSI

di Antonio Sanfrancesco

Don Michele Falabretti (Cei)Don Michele Falabretti, responsabile del Servizio Cei per la pastorale giovanile (Snpg) spiega il senso dei pellegrinaggi verso Roma che circa trentamila ragazzi stanno percorrendo lungo 114 diversi itinerari in tutta Italia. L'11 e il 12 agosto l'incontro con il Papa. L'appuntamento voluto per preparare il prossimo Sinodo dei vescovi, in programma ad ottobre.-

Sulla strada, perché? Scrive Jack Kerouac nel romanzo simbolo della beat generation, On the Road: «Un tipo alto e dinoccolato con un cappello a larghe tese fermò la sua macchina in contromano e attraversò verso di noi; aveva l’aria di uno sceriffo. Noi preparammo segretamente le nostre storie. Lui si avvicinò senza affrettarsi. “Andate da qualche parte di preciso, voi ragazzi, o viaggiate senza meta?”. Non capimmo la domanda, eppure era una domanda maledettamente chiara». Sulla strada, dunque. Don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei, non ha dubbi: «È una sfida anche per noi», riflette, «chi ancora insiste sulla “generazione Gmg” sta parlando del passato, i giovani non si identificano più in un incontro a cui partecipano ma per le esperienze che fanno. Questa dei cammini mira a portare gli adulti, dai preti ai vescovi agli educatori, a stare al fianco dei ragazzi. È la prima volta che l’Italia intera, da Nord a Sud, prende la forma del pellegrinaggio e la sceglie come forma pastorale d’ingaggio dei giovani».

Tutto, d’altra parte, cambia. «In passato», dice Falabretti, «lo schema di fondo era: ti chiamo, ti istruisco e ti faccio fare alcune cose. Adesso è diverso: ti chiamo e camminiamo insieme, ti parlo a partire da quello che mi dici. Questi tempi richiedono una formula diversa». La meta è Roma, per l’incontro con papa Francesco. E per il Sinodo dei giovani, a ottobre, sulla fede e il discernimento vocazionale. «Non è una sfida calata dall’alto», ragiona Falabretti, «il Sinodo chiede agli adulti di mettersi in gioco e non trattare i ragazzi come scatole da riempire. Interroga gli adulti sul perché la loro fede non scalda più, sul perché non siamo capaci di appassionare i giovani. Ecco, ora io ti chiamo e chiedo di fare un pezzo di strada insieme. E mentre cerco di capire e ascoltare te, capisco e ascolto anche me. Camminare insieme implica che gli adulti non siano necessariamente avanti perché i giovani, a volte, vanno più veloci. È la logica del Vangelo. In un’esperienza così, tutti, a cominciare da noi preti, ci dobbiamo riscoprire discepoli».

I cammini dei giovani italiani s’intrecciano con quelli di altri giovani che si mettono in strada, dal mare ai valichi di montagna, sfidando avversità e prove d’ogni genere. Suggestione? «È sotto gli occhi di tutti», la riflessione di Falabretti, «ma attenzione a non trasformarla in moralismo. Il farsi pellegrini potrebbe essere una di quelle esperienze che permette di capire meglio l’altro, anche il fratello immigrato, e questo probabilmente potrebbe far aumentare il senso d’accoglienza dei ragazzi. Se non capisco cosa vuol dire camminare, non potrò accogliere. Penso e spero che il cammino sia anche un’esperienza di accoglienza, data, offerta e ricevuta».

Con quali occhi, dunque, guardare ai cammini, drammatici, degli altri e che la cronaca ci mette sotto gli occhi tutti i giorni? «Quello che fa molto male è perché non proviamo pietà nei confronti di queste persone», spiega Falabretti, «Posso capire tutte le ragioni economico-sociali di questo mondo, però chi mi dà la ragione di vivere, Gesù Cristo, mi ha comandato di accogliere il fratello. Dobbiamo diventare pellegrini anche noi per capire chi arriva in un paese come forestiero e deve dipendere dall’ospitalità di qualcun altro per un bicchiere d’acqua».

Per i cammini e l’incontro con il Papa a Roma si sono iscritti cinquantamila ragazzi. «Forse ne arriveranno molti di più», prevede Falabretti, che però frena: «Liberiamoci dall’ossessione dei numeri. Quest’esperienza deve essere una semina. Se ragioniamo in questa logica, possiamo augurarci che da qualche parte ci porti. Altrimenti l’alternativa è quella di restare sulle barricate per dire: io la penso diversamente da te. Ma così non ci si incontra mai».

da www.famigliacristiana.it

@Riproduzione Riservata del  08 agosto 2018

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