Caporalato, spezzare le catene per non essere complici
di Carlo Cefaloni
da www.cittànuova.it
@Riproduzione Riservata del 22 giugno 2024
La morte atroce, a Latina, del giovane bracciante Satnam Singh rivela le complicità di un sistema da cambiare radicalmente. Dai campi agricoli agli scaffali del mercato. Alcuni punti da tener presente riconoscendo l’impegno controcorrente di chi, come Marco Omizzolo, si è sempre esposto nel denunciare la riduzione in schiavitù praticata nei nostri territori.-
Latina. Nella terra nota per la bonifica delle paludi completata nell’epoca fascista esistono casi conclamati di riduzione in schiavitù di esseri umani.
Chi come Marco Omizzolo, sociologo di strada, lo ha denunciato in questi anni ha rischiato la vita ed è stato visto con diffidenza e sospetto da pezzi della classe dirigente che tollerano il disastro dei diritti umani che si consuma ogni giorno a pochi chilometri da Roma.
La magistratura accerterà le colpe del titolare dell’impresa agricola che non ha soccorso il giovane lavoratore Satnam Singh, rimasto ferito sui campi, ma lo ha scaricato come un rifiuto davanti casa assieme al braccio staccato dal corpo mentre la moglie invocava di andare immediatamente in ospedale. Quando vi è poi arrivato grazie alla solidarietà dei vicini della coppia non c’è stato più niente da fare. Una tragedia del genere non accade per fatalità ma in forza di un sistema accettato di fatto dalla maggioranza della popolazione convinta erroneamente che sia impossibile cambiare l’ordine delle cose.
Omizzolo è di Sabaudia, città che fa notizia per i vip che decidono di andarvi in vacanza, e il suo impegno è nato dalla capacità di aprire gli occhi davanti al fenomeno eclatante della presenza di decine di migliaia di lavoratori indiani presenti nella vasta provincia agricola del Sud pontino.
Ne ha condiviso la condizione bracciantile facendosi passare per un sikh sperimentando la costrizione fisica, l’imposizione di tempi e condizioni di lavoro inumani, fuori da ogni regola di sicurezza, oltre all’obbligo di rivolgersi con deferenza al “padrone”. Le sue denunce, frutto di analisi approfondite di alto livello scientifico, gli hanno scaricato l’odio e la denigrazione di pezzi della classe politica giunta fino ad utilizzare frange della tifoseria calcistica nell’intimidazione pubblica.
Grazie al lavoro comune con la Flai Cgil si è arrivati così nel 2016 alla prima grande manifestazione dei braccianti agricoli a Latina. Ma il cammino è lungo se, come afferma Omizzolo, riportato anche da Toni Mira su Avvenire, la contabilità dei morti sul lavoro nei campi è molto più pesante ogni anno, con corpi gettati nei fossi o vittime dell’uso di sostanze tossiche nelle serre.
La ricerca di Marco Omizzolo è un punto fermo, ormai riconosciuto negli studi internazionali della filiera dello sfruttamento, che non è confinata all’attività agricola, perché parte dalla realtà delle cose. Che vuol dire fare i conti con padroni e padroncini abituati a mostrare anche le armi, magari detenute legalmente perché cacciatori, ed esponenti politici preoccupati per l’immagine di un territorio che ha bisogno di una bonifica radicale e profonda. In questo quadro così approfondito emerge ovviamente che la linea dello sfruttamento coinvolge anche elementi della comunità indiana fin dal momento dell’arruolamento all’estero fino alla partecipazione all’attività criminale,
L’attenzione per la storia tragica di Satnam Singh è purtroppo, come sempre, destinata a durare troppo poco tempo nel meccanismo dell’informazione che rischia di farsi veicolo di assuefazione e di emozioni momentanee.
Occorrono perciò alcuni criteri per capire l’impatto reale che un fatto di così grave disumanità riuscirà a produrre all’inizio della torrida estate del 2024.
Tra questi la presa in carico, o meno, del problema da parte delle associazioni degli imprenditori agricoli che devono tutelare i loro iscritti rispettosi delle regole di legge e umanità sul lavoro. Un indice eloquente in tal senso sarà la decisione di costituirsi parte civile nel processo che si aprirà sul caso.
L’incremento del numero degli ispettori del lavoro avvenuto nella purtroppo breve direzione del magistrato Bruno Giordano, che aveva segnato la presa in carico della piaga del caporalato, deve portare ad un aumento effettivo dei controlli sui posti di lavoro, esteso alle condizioni di dimora dei braccianti, che tenga conto della complessità dell’intermediazione di manodopera realizzata con la collaborazione di esperti commercialisti.
L’appartenenza dell’impresa alla “Rete del lavoro agricolo di qualità”, introdotta con la legge sul caporalato del 2016, dovrebbe essere una condizione di base per operare e non un atto volontario di adesione. La difficoltà concreta a produrre tale passaggio merita di essere affrontato in un confronto aperto tra le forze sociali e la rappresentanza politica con il contributo delle associazioni umanitarie attive sul campo.
È lodevole l’impegno solidale e mutualistico promosso dalla Flai Cgil nel sostenere le necessità economiche della famiglia di Satnam Singh, ma è evidente che l’orribile uccisione del bracciante richiede un intervento pubblico immediato, a prescindere dalla regolarità o meno dell’attività lavorativa che si ritorce gravemente contro il lavoratore.
Infine, non è possibile ignorare il proliferare di punti della Grande distribuzione organizzata (Gdo) nello stesso territorio pontino investito da notevoli flussi turistici estivi. Sono le loro centrali di acquisto a dettare il prezzo di intermediazione dei prodotti agricoli secondo un meccanismo che finisce per scaricare i costi sui più deboli e cioè, in maniera disumana, sui braccianti. È impossibile applicare regole di basilare equità in questa filiera?
Sono questi i nodi politici da affrontare al di là della scelta virtuosa di un produttore e di una rete di consumatori. Esistono infatti marchi “no cap”per prodotti biologici liberi da sfruttamento ma la loro rete di distribuzione resta limitata. L’accesso ad un prodotto equo deve essere possibile a tutti con l’adozione di regole definite per legge.
La spinta del cosiddetto “voto con il portafoglio”, nato con le reti del commercio equo e solidale rivolte al Sud del globo, può aiutare ma non sostituire il cambiamento che va realizzato con scelte di politiche economiche coerenti da far valere contro interessi di parte più meno trasparenti.
La piaga del caporalato è, di fatto, diffusa geograficamente in più settori, come dimostrano le inchieste giudiziarie che hanno interessato la stessa Gdo e i marchi dell’alta moda.