Charlie Gard, la battaglia di una mamma italiana. "Rivivo la tragedia di mio figlio"
di Nino Femiani
La mamma di Mattia, morto a 8 anni: "Io almeno ho potuto combattere".-
Napoli, 1 luglio 2017 - C'è una mamma napoletana che, nelle ore in cui si sta per staccare il respiratore al piccolo Charlie Gard, vive attimi di emozione e ripercorre un calvario che l’ha segnata profondamente. Simona Marrazzo, 35 anni, è la madre di Mattia Fagnoni, il bimbo affetto dal morbo di Sandhoff – una rara malattia degenerativa del sistema nervoso – morto il 27 maggio 2015 all’ospedale Santobono di Napoli. Non aveva neppure otto anni.
Simona, come sta vivendo la storia del piccolo Charlie?
«Come una grande ingiustizia».
Perché?
«Giudici e medici avrebbero dovuto dare un’altra opportunità a questo bimbo. D’altra parte, i genitori di Charlie avevano raccolto sottoscrizioni per oltre un milione di sterline, in grado di pagare il viaggio negli Stati Uniti e di sottoporre il piccolo a una terapia sperimentale. Perché non consentire loro di farlo? Perché bruciare i sogni con la brutalità della legge e l’ottusità della burocrazia?».
Contraria senza se e senza ma.
«Fin quando c’è un filo di speranza è giusto andare avanti».
Lei ha vissuto un’esperienza eccezionale, quali sono i punti di contatto con la mamma di Charlie?
«Tanti i punti in comune, ma uno è diverso. A lei non è stata data la possibilità di combattere per il figlio fino all’ultimo, non le è stata regalata una seconda chance nonostante il cuore di tanta gente si sia schierato con lei e con il suo bambino».
Anche nel suo caso c’è stato un intervento della legge perché suo figlio veniva curato con le terapie staminali del metodo Vannoni. Dopo l’intervento del giudice quelle cure furono dichiarate fuorilegge.
«Noi non volevamo rinunciare a quelle terapie e chiedemmo al tribunale del lavoro – guardi che stranezza tutta italiana, un giudice del lavoro intervenne su questioni sanitarie – di autorizzare le cure ideate da Vannoni. A differenza di Charlie, noi quelle infusioni sperimentali le abbiamo potute fare, abbiamo trovato dei magistrati che hanno ascoltato e accolto le nostre problematiche. E un ospedale, quello di Brescia, che ci ha aiutato. E all’inizio, posso dire, ci fu anche un certo beneficio nella condizione di Mattia. Che poi quelle cure fossero un bluff, è tutta un’altra faccenda».
Le è mai venuto in mente, quando sottoponevano suo figlio Mattia a cure anche dolorose, che ci potesse essere un accanimento terapeutico, che era inutile straziarlo visto che non sarebbe mai guarito?
«Non l’ho mai pensato. Quando scoprimmo la malattia, venimmo intercettati da sedicenti medici che ci scrivevano da mezzo mondo, dall’India, dal Cile, dal Giappone. Fantomatiche cliniche che, con botti di soldi, ci promettevano il miracolo. Noi non siamo genitori creduloni, sapevamo la gravità di nostro figlio e abbiamo da sempre deciso di affidarci alla sanità italiana. E il metodo Stamina lo abbiamo sperimentato in un ospedale pubblico italiano, con medici italiani: gente coscienziosa che non si accanisce sugli ammalati».
Avete ricevuto critiche?
«Chi non ci conosceva pensava che non riuscissimo a capire la via crucis di Mattia. Poi venivano a trovarci a casa e vedevano quanto grande fosse l’amore per lui. Mattia parlava con gli occhi, ci diceva che voleva lottare e vivere a tutti i costi. Lo abbiamo chiamato ‘guerriero’ per questo motivo».
Una battaglia che vi ha reso migliori?
«Mattia ha reso migliori tutti coloro che hanno avuto a che fare con lui. Ci ha lasciato un’eredità immensa che stiamo cercando di restituire attraverso le attività della onlus a lui intitolata».
Vuole fare un appello ai genitori di Charlie?
«Qualunque cosa succeda, devono conservare un ricordo fiero del loro bimbo. E, anche se non sono riusciti a salvare il loro Charlie, devono continuare a lottare contro la burocrazia che lo ha condannato a morte».
da www.quotidiano.net
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