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Chat dei figli, è giusto che i genitori le leggano? Gli esperti: «Come capire se i ragazzi sono esposti a pericoli»

da www.ilmessaggero.it
@Riproduzione Riservata del 15 luglio 2023

Le chat dei figli sul telefono, si leggono oppure no? È giusto che un padre o una madre prendano il telefono e scorrano le conversazioni private dei propri ragazzi? Meglio controllare e sbirciare i loro whatsapp oppure non sapere? Una volta c'era il diario a cui affidare i propri pensieri. Ora ci sono i computer, i telefoni, i social. Che pongono ulteriori problemi: nell'era digitale i ragazzi sono più esposti al rischio di incontrare, nelle stanze virtuali, dei pericoli reali. Cosa fare dunque? Cosa dicono gli esperti, i pediatri?

È giusto leggere le chat dei propri figli?

«Controllare il telefono del figlio è un atteggiamento autoritario e un fallimento della funzione educativa genitoriale», dice all'Adnkronos Salute Italo Farnetani, ordinario di Pediatria dell'Università Ludes-United Campus of Malta.

«Invadere la privacy di un adolescente controllando il suo telefono può avere diverse conseguenze psicologiche», osserva Giovanna Crespi, segretario della Società italiana di psichiatria forense (Sipf).

Tre tipi di genitori: permissivi, autoritari e autorevoli

Voi che tipo siete?

«I genitori sono di tre tipi», analizza Farnetani. Da un lato ci sono «i permissivi», che «non pongono assolutamente limiti ai figli lasciandoli liberi di fare ciò che vogliono»; sul fronte opposto si trovano «gli autoritari», che «danno direttive e alzano paletti senza discuterli», e in mezzo ci sono «gli autorevoli. Quelli che con la prole hanno un dialogo, che quando fissano dei limiti li spiegano e li motivano, perché hanno impostato un rapporto per cui fin dall'infanzia i figli hanno con il genitore una reciprocità e un'abitudine a confrontarsi, a domandare e capire. È ovvio che il controllo del telefono è un modo di agire autoritario».

In altre parole, spiega l'esperto, «se un genitore sente la necessità di controllare il cellulare del figlio mostra di non avere fiducia in lui, di non poter usare nessun altro modo per entrare in relazione con il ragazzo se non quello di insinuarsi di nascosto nel suo mondo».

«È una mancanza di relazione e di comunicazione che viene da lontano, dai primi anni di vita», precisa il pediatra. «Una distanza che si crea quando il genitore non ha mai saputo entrare in contatto reale, dialogare e perciò educare il figlio motivando e spiegando ciò che gli chiede».

Mentre «il genitore autorevole ha imparato fin da subito a colloquiare con il figlio, ad aiutarlo a crescere attraverso il dialogo, accompagnandolo e offrendogli solidi punti di riferimento, in primis il genitore stesso», quello «autoritario davanti a un problema pensa di risolverlo con le punizioni, imponendo al figlio divieti e regole rigide da rispettare.

Anziché, come farebbe il genitore autorevole, spiegandogli, convincendolo, motivando e correggendo l'errore attraverso una persuasione motivata». Per Farnetani è questo il modello da perseguire: «Se c'è un problema, andrebbe affrontato insieme in famiglia. Ritrovarsi costretti a invocare aiuti esterni, fino ai casi estremi di ricorso alle forze dell'ordine, mette in discussione la capacità genitoriale di educare e aiutare i figli nella crescita». 

I ragazzi e l'uso della tecnologia: è importante sapere che ci sono rischi

«L'argomento del controllo dei cellulari dei figli minorenni è un argomento dibattuto», ragiona Crespi. «Alcuni genitori ritengono che sia giusto e importante monitorare l'uso dei cellulari dei loro figli per proteggerli, per insegnare loro un uso responsabile della tecnologia, garantire la loro sicurezza online e prevenire l'accesso a contenuti inappropriati. Altri, invece, credono che i figli abbiano diritto alla privacy e che il controllo eccessivo possa ledere la loro fiducia e autonomia. Questa visione sostiene che sia importante insegnare ai ragazzi come utilizzare in modo responsabile la tecnologiaeducarli sui rischi e le conseguenze di determinati comportamenti online e stabilire una comunicazione aperta per affrontare eventuali problematiche».

Per la psicoterapeuta e psichiatra «è importante trovare un equilibrio, ad esempio stabilendo delle regole chiare coinvolgendo i ragazzi nel processo decisionale e facendoli sentire parte integrante delle decisioni familiari sull'uso dei cellulari/dispositivi digitali, come limitare l'uso dei social media, impostare orari di utilizzo o stabilire restrizioni sull'accesso a determinati contenuti».

«In base alla legge italiana (art. 2049 del Codice civile italiano) - rimarca la specialista - i genitori o i tutori legali di un minore possono essere chiamati a rispondere per le azioni del minore stesso solo in determinate circostanze specifiche. In generale, i genitori hanno il dovere di prendere le misure ragionevoli per prevenire comportamenti dannosi da parte dei loro figli, adempiendo al loro ruolo di educazione, supervisione e custodia. Tuttavia non sono automaticamente responsabili per le azioni del minore, a meno che non si possa dimostrare che hanno fallito nel loro dovere di protezione».

Ma come capire se il figlio sta correndo dei pericoli?

«Esistono diversi segnali che possono indicare situazioni potenzialmente rischiose o problematiche nella vita online dell'adolescente. Alcuni - illustra Crespi - mostrano cambiamenti improvvisi di comportamento, isolamento sociale, perdita di interesse per attività che un tempo apprezzavano, caduta delle prestazioni scolastiche o evidenze di comportamenti pericolosi o inappropriati nelle conversazioni o nei contenuti online.

È importante iniziare una conversazione aperta e compassionevole con il proprio figlio - raccomanda - fornendo supporto e offrendo aiuto per comprendere le implicazioni delle sue azioni online». «Un controllo eccessivo o invadente da parte dei genitori - avverte l'esperta - può avere effetti negativi sul benessere emotivo dei figli e sulla fiducia all'interno della relazione genitore-figlio. Un'eccessiva sorveglianza può ostacolare lo sviluppo dell'autonomia e dell'indipendenza dei ragazzi, impedendo loro di imparare a gestire in modo responsabile la propria privacy e di sviluppare abilità decisionali autonome». 

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