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COME ABBIAMO IMPARATO A VIVERE IN SOLITUDINE

di Arthur C. Brooks, The Atlantic, Stati Uniti
da www.internazionale.it
@Riproduzione Riservata del 14 gennaio 2023

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Le comunità possono rivelarsi incredibilmente solide dopo aver subìto un trauma. Durante i bombardamenti tedeschi della seconda guerra mondiale i londinesi diedero prova di un grande spirito di unità e in seguito ricostruirono insieme la città. Quando ho visitato l’isola tailandese di Phuket sei mesi dopo lo tsunami del 2004, che aveva provocato di migliaia di morti e un numero molto maggiore di sfollati, ho assistito a una ripresa miracolosa. In molti luoghi non c’era quasi più traccia della recente tragedia. È stata un’esperienza toccante.

Passare dalla sopravvivenza a una nuova prosperità è fondamentale per guarire e crescere dopo un disastro, e gli studiosi hanno dimostrato che può essere un’esperienza piuttosto comune. Spesso le condizioni peggiori tirano fuori il meglio dalle persone, spingendole a collaborare tra loro per aiutare se stesse e gli altri.

Sfortunatamente il covid-19 sembra sfuggire a questa dinamica. L’aspetto sociale più significativo emerso durante la pandemia è stato il modo in cui il virus ha costretto le persone a isolarsi. Quelle abbastanza fortunate da non aver perso un familiare o una persona cara hanno comunque dovuto affrontare il trauma della solitudine. A quanto pare, anziché sentirci uniti nelle difficoltà, siamo ancora intrappolati in una solitudine diventata abituale e in cui i rapporti sono stati interrotti e mai ripristinati. Molte persone continuano a vivere da sole, senza la compagnia degli amici o delle persone care che possano aiutarle a ricostruire la loro vita. Forse anche voi che leggete potreste essere in queste condizioni.

Dinamiche alterate
Se la vostra vita non è tornata alla “normalità” precedente al 2020, tenete presente che questo vale per tante altre persone. In un sondaggio condotto nel marzo 2022 dalla Kaiser family foundation, il 59 per cento degli intervistati ha dichiarato di non aver ripreso pienamente le attività pre-pandemia.

Un altro aspetto pericoloso è che oggi le persone si concentrano sulla socialità molto meno rispetto al passato

Una delle dinamiche che continuano a essere alterate rispetto al passato è sicuramente quella del lavoro, che per milioni di statunitensi si è trasformato da esperienza sociale a una realtà fatta di isolamento in cui si è costretti a restare seduti davanti allo schermo di un computer a chilometri di distanza dagli altri. Probabilmente l’attività lavorativa non tornerà mai alla normalità, soprattutto negli uffici. Secondo l’ufficio del censo degli Stati Uniti la percentuale di persone che lavorano da casa è triplicata tra il 2019 e il 2022. Oggi il lavoro da remoto non è più necessario da un punto di vista sanitario, eppure nel 2022 il 59 per cento delle persone il cui lavoro può essere svolto a distanza continua a farlo da casa, per tutto il tempo o comunque per una buona parte. Quasi tutti lo fanno per scelta, nonostante il 60 per cento dichiari di sentirsi meno in contatto con i colleghi rispetto a prima del 2020.

Un aspetto ancora più pericoloso per il benessere della gente deriva dal fatto che oggi le persone si concentrano sulla socialità molto meno rispetto al passato. Alcuni amici che di recente ho incontrato per la prima volta dal 2020 mi hanno confessato che non vanno mai alle feste né in casa d’altri, mentre prima della pandemia uscivano molto spesso. In un sondaggio condotto dal Pew research center nel maggio 2022, il 21 per cento degli intervistati ha dichiarato che per loro la socialità era diventata più importante dopo l’avvento della pandemia, ma il 35 per cento aveva fornito una risposta opposta, rivelando di dare meno importanza alla socialità rispetto al passato.

Prove aneddotiche e dati confermati
È probabile che alcune persone incontrino meno spesso i loro cari a causa della paura della malattia. Eppure, quando ho insistito con i miei amici affinché mi fornissero una spiegazione per il loro isolamento, mi hanno risposto che semplicemente avevano “perso l’abitudine” a vedere gli altri. Queste prove aneddotiche sono confermate dai dati: la maggior parte degli intervistati in un sondaggio condotto nella primavera del 2022 su alcuni americani adulti ha dichiarato di incontrare maggiori difficoltà nel creare relazioni. Solo il 9 per cento provava timore all’idea di una vicinanza fisica con gli altri, mentre la principale fonte di ansia (29 per cento degli intervistati) era il fatto di “non sapere cosa dire o come interagire”. Molti di noi, in sostanza, hanno dimenticato come si fa a coltivare le amicizie.

Questa solitudine abituale sempre più diffusa rappresenta una crisi sanitaria. Nel corso degli anni le ricerche hanno confermato che l’isolamento è legato alla depressione e all’ansia. Inoltre questa condizione aumenta il rischio di morte prematura, di malattie cardiovascolari, di infiammazioni, di alterazioni ormonali e disturbi del sonno.

I nati durante la pandemia hanno perso una finestra cruciale di socializzazione

I danni non sono distribuiti in modo equo. I ricercatori dell’Institute for family studies hanno scoperto che negli Stati Uniti il tasso di infelicità ha subìto un incremento generale nel periodo compreso tra gli anni prima della pandemia (2012-2018) e la fase immediatamente successiva all’emergenza sanitaria(2021). Nello specifico, due gruppi hanno fatto registrare un aumento più significativo nel tasso di infelicità: le persone single e quelle che non frequentano regolarmente cerimonie religiose. Probabilmente chi fa parte di questi gruppi ha meno interazioni sociali programmate rispetto agli altri.

Anche i bambini possono essere molto vulnerabili. I nati durante la pandemia hanno perso una finestra cruciale di socializzazione. Uno studio condotto sui bambini di Dublino e pubblicato negli Archives of Disease in Childhood ha rilevato che i soggetti, in media, manifestavano un deficit di comunicazione. Messi a confronto con quelli nati tra il 2008 e il 2011, i bambini presi in esame avevano meno probabilità di pronunciare una parola completa, di indicare o di salutare con le mani prima di aver compiuto i dodici mesi di età. La maggior parte di questi bambini ha avuto meno interazioni con una varietà di persone rispetto a quelle che avrebbe avuto in assenza della pandemia. Non abbiamo idea di quali saranno le conseguenze a lungo termine di questo fenomeno.

Strategia di auto-opposizione
Ma se la solitudine abituale sta provocando così tanta sofferenza, perché le persone che ne soffrono non fanno qualcosa per reagire? Perché non chiedono di lavorare in ufficio? Perché non riallacciano i rapporti con gli amici? Una risposta plausibile è che, come mostrano alcune ricerche, la solitudine inibisce le nostre funzioni esecutive, indispensabili per affrontare nel modo corretto le angosce. Pensate a un momento della vostra vita in cui vi siete sentiti molto soli e anziché fare quello che avreste dovuto – chiamare qualcuno, uscire, fare vita sociale – vi siete rintanati sul divano senza vedere nessuno.

La solitudine, come la povertà o la condizione di senzatetto, tende ad autoperpetuarsi. Così come è difficile riprendersi quanto ci si trova senza un posto dove dormire, una doccia, un indirizzo o un numero di telefono, allo stesso modo l’isolamento sociale produce comportamenti che portano a un ulteriore isolamento. Se avete scelto di lavorare da casa anziché in ufficio per comodità, se avete preferito le attività solitarie a quelle di gruppo per imbarazzo o se avete deciso di non riallacciare vecchie amicizie per pura pigrizia, il rischio è che vi troviate intrappolati in un circolo vizioso di solitudine.

Per interrompere questo meccanismo potrebbe essere utile adottare una sorta di “strategia di auto-opposizione”. Probabilmente la passività vi fa pensare che vestirsi e andare a lavorare sia una fatica o che invitare qualcuno a casa sarà imbarazzante, ma in realtà dovreste fare precisamente quello che il vostro istinto vi spinge a evitare. Immaginate di dover ricominciare ad allenarvi dopo un lungo periodo di sedentarietà (un altro problema comune legato al covid): inizialmente il vostro corpo si lamenterà, ma se avrete la forza di insistere vi accorgerete presto di potervi allenare (socializzare) senza problemi, perché è diventata una routine e perché percepite quanto faccia bene alla vostra vita.

Non esiste alcuna legge della natura in base alla quale se aspettiamo abbastanza a lungo avremo la garanzia di essere di nuovo felici. Dobbiamo intervenire per modificare il nostro ambiente: insistere per lavorare insieme ad altri, diventare un punto di riferimento per gli incontri tra amici. Se le circostanze in cui viviamo rendono il covid una minaccia ancora presente (per esempio per chi è immunodepresso) è molto importante prendere l’iniziativa e fare piani che possano coincidere con le nostre necessità. Ho amici che conducono un’intensa vita sociale in casa propria, ma fanno un test a tutti gli ospiti a causa del loro particolare stato di salute. In questo modo accettano un piccolo fastidio per mantenere la loro “dose di amicizia”.

Il covid-19 ha instillato una vena di solitudine nella vita di alcuni di noi. Fare ciò che sembra comodo e conveniente in ambito lavorativo e nell’amicizia non fa altro che allargare questa vena, complicando la futura uscita dall’isolamento. Se riusciremo invece a ricordare il calore e la felicità della nostra vecchia vita sociale e faremo qualche cambiamento utile, il 2023 potrà essere un anno di rinnovamento.

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