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Cosa vuol dire avere una sorellina disabile

La famiglia vacilla quando nasce un bimbo disabile. A soffrire sono anche i fratellini, che rischiano di rimanere schiacciati. In collaborazione con la Lega del Filo d’Oro, raccontiamo, qui e sul giornale, le emozioni e gli ostacoli delle famiglie che vivono questa esperienza. Come i genitori e il fratello della piccola Giulia.-

Le coccole della mamma sono un momento di scambio molto intenso: emozioni, sensazioni e bisogni viaggiano attraverso il tatto e il contatto fisico. Giulia ci sente bene, grazie al suo apparecchio, e ha una buona funzionalità visiva. Ma gli abbracci della mamma le trasmettono molto più di ciò che lei può sentire o vedere. 

Le parole sono ponti che permettono a tante solitudini diverse tra loro di mettersi in comunicazione profonda. Le parole sono il primo passo per rompere l’isolamento di chi vive una condizione di disabilità. Me ne convinco durante questo viaggio per l’Italia insieme alla Lega del Filo d’Oro, che attraverso le vite dei suoi ospiti sordociechi e dei loro familiari mi restituisce una certezza che deve confortarci tutti: la disabilità è trasversale, mette a nudo il peggio e il meglio di ognuno di noi, in famiglia e in società.

Varcando la soglia della casa dove abita la famiglia della piccola Giulia, affetta dalla Sindrome di Charge, mi chiedo: “Chi aiuta chi?”. Penso che le persone con disabilità aiutino tutti a conoscere se stessi e a mettersi alla prova. Sta poi agli altri, ai normodotati, far tesoro o meno dell’esperienza. Mi dice Elisabetta, la mamma di Giulia, che ora ha tre anni: «La nascita di nostra figlia è stata come uno tsunami. Quando arriva, la disabilità è come un’onda che travolge tutto. Tutto quello che c’era prima viene distrutto. Restano le fondamenta. Ed è da lì che bisogna ripartire». Se le fondamenta non sono solide, la famiglia vacilla.

Ma Giulia è una bambina fortunata. La sua famiglia è rimasta sempre molto unita, tutta stretta intorno a lei: «Stare insieme è un antidoto potente perché quando inizia una storia di disabilità c’è sempre solitudine. Si è soli. È uno choc per tutta la famiglia. Eppure, siamo ripartiti insieme, mio marito e io. E abbiamo cercato piano piano di far accettare la condizione di Giulia a Leonardo, il fratello. Quando lei è nata, lui aveva solo sei anni. E noi, come tutti i genitori di un bambino con disabilità, ci siamo proiettati esclusivamente sulla bambina. Immaginavamo che il fratellino capisse il perché delle nostre attenzioni a Giulia, immaginavamo che fosse grande, e invece ci siamo sbagliati». A Elisabetta trema la voce, mentre mi parla.

Leonardo, che ora ha nove anni, è uno dei tanti, invisibili “siblings”, un termine che in inglese arcaico indica i fratelli e le sorelle, a prescindere dal sesso. Nell’uso comune questa parola ha finito per indicare solo loro: la prole “fortunata”, i fratelli dei bimbi con disabilità. Che poi, a guardare bene, tanto fortunati alla fine non si sentono perché in una famiglia destabilizzata dall’irrompere della disabilità, sono quelli che finiscono per rimanere schiacciati. «Un bambino non ha gli strumenti per affrontare quello che sta vivendo, per capire le lunghe assenze della mamma, non solo quelle dovute alle terapie della sorellina, ma anche la sua “assenza mentale”. Io non me ne rendevo conto ma per Leonardo non c’ero, anche quando mi trovavo insieme a lui. Ho sopravvalutato la sua maturità e solo oggi mi chiedo incredula cosa avrei mai potuto pretendere da un bambino di sei, sette anni. Il suo vissuto di esclusione e sofferenza, le sue emozioni negative se l’è portate dentro per tanto tempo senza riuscire a elaborarle, finché un giorno mi ha detto, crollando: “Tu stai sempre con Giulia”. E io allora ho realizzato: ho capito che mentre tutti intorno ti dicono che il problema è la disabilità di tua sorella, tu invece pensi che il problema sia la tua solitudine».

Ora Leonardo ha nove anni, sta frequentando dei gruppi di aiuto dedicati ai fratellini dei bambini disabili e alla mamma non fa più domande laceranti. Non chiede più: “Perché Gesù ci ha mandato una stellina così?”. Dice semplicemente che sua sorella è “una matita senza punta”: una matita come tutte le altre, solo con qualcosa di diverso. Un diverso che lo aiuta, e lo aiuterà, a essere migliore: «I bambini disabili nascono così, con il sole dentro. Per loro la vita prevale su tutto. Giulia sorride sempre. Loro hanno un istinto naturale di forza che vince su ogni cosa» dice Elisabetta. E Giulia è davvero forte. Ha iniziato a camminare, ci sente bene grazie all’apparecchio acustico, riesce a mangiare con il cucchiaio e fa progressi incredibili. Periodicamente Giulia torna al Centro Diagnostico della Lega del Filo d’Oro per una valutazione complessiva del suo percorso di riabilitazione, i progressi raggiunti e i nuovi obiettivi educativi. A casa, poi, prosegue la riabilitazione con fisioterapia, terapia cognitiva, logopedia. Ma la cura più importante che fa stare bene Giulia è la fiducia nelle sue capacità: «Con l’aiuto degli educatori ho capito che dobbiamo credere nei nostri bambini, dobbiamo dar loro fiducia. Tante volte dai medici mi sono sentita dire che Giulia era indietro e non avrebbe mai recuperato. Invece ha fatto passi inimmaginabili. Io dico che Giulia non è la sua malattia: prima c’è lei, poi viene il suo problema».

Guardando come la mamma tiene in braccio la sua Giulia, penso che vivere con un bimbo disabile sia come camminare su un prato pieno di margherite: non sai dove mettere i piedi, per paura di schiacciarle. Poi a poco a poco capisci come puoi muoverti. E realizzi che non c’è nulla da temere nella disabilità. C’è solo da prenderla così come arriva e affrontarla.

Per saperne di più sulla Lega del Filo D'Oro

La Lega del Filo d’Oro, presente in 8 regioni con Centri Residenziali e Sedi territoriali, da più di 50 anni assiste, educa e riabilita le persone sordocieche e con deficit psicosensoriali, cercando di portarle all’autonomia per inserirle nella società. In Italia sono 189mila le persone sordocieche, di cui oltre la metà confinate in casa, non essendo autosufficienti. Quasi il 50% di queste persone ha anche una disabilità motoria e 4 su 10 hanno anche danni permanenti legati a una disabilità intellettiva. In 7 casi su 10 le persone sordocieche hanno difficoltà ad essere autonome nelle più semplici attività quotidiane come lavarsi, vestirsi, mangiare, uscire da soli. Un “esercito” di invisibili con disabilità plurime di cui spesso s’ignora l’esistenza.

Per informazioni: legadelfilodoro.it - numero verde 800904450
da www.donnamoderna.com
@Riproduzione Riservata del 23 giugno 2017

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