Diocesi di Milano: Boati (Cav) - «Sulla 194 servirebbe un dibattito più serio»
di Stefania Cecchetti
da www.chiesadimilano.it
@Riproduzione Riservata del 24 aprile 2024
Il vicepresidente del Centro ambrosiano di aiuto alla vita interviene sull'emendamento alla legge sull'aborto inserito nelle nuove disposizioni per l'attuazione del Pnrr, che nei giorni scorsi ha suscitato numerose polemiche.-
Sono state appena approvate dal Senato le nuove disposizioni per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), all’interno delle quali si trova l’emendamento alla legge 194, sulla presenza nei consultori delle associazioni pro-vita, che ha causato forti polemiche nei giorni scorsi. Ne abbiamo parlato con Giulio Boati, vicepresidente del Centro ambrosiano di aiuto alla vita.
Qualcuno ha parlato di attacco alla legge 194. Lei cosa ne pensa?
Ho trovato poca felice l’idea di inserire questo emendamento nelle disposizioni per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che poco ha a che fare con la legge 194, tanto che dall’opinione pubblica, soprattutto quella laica, questa mossa è stata avvertita come una specie di “colpo di mano”. Credo invece che questi temi meriterebbero un dibattito ben più attento e approfondito
Da che punto di vista?
Per esempio andrebbe approfondito il discorso sulla reale applicazione della legge 194, secondo cui è previsto che quando una donna si presenta, nella maggior parte dei casi in un consultorio, per la richiesta di un certificato per abortire, non ci si limiti a una datazione ginecologica dell’età del feto, ma le vengano presentate tutte le possibilità di scelta, in modo che la sua decisione sia effettivamente libera e non dettata solo da ragioni economiche, dalla paura o da motivi di altro genere. Infatti la legge 194 prevede che alla donna sia fornito un adeguato sostegno psicologico e un secondo appuntamento a distanza di 15 giorni. Io ho qualche dubbio che questo avvenga davvero nella maggior parte dei casi.
Posso dire invece con certezza che questo è lo stile con cui cerchiamo di lavorare noi e le associazioni come la nostra: non tanto fare opera di dissuasione, quanto cercare di offrire un aiuto alla donna che si trova in difficoltà. Lasciandola comunque libera di decidere se, nonostante le possibilità di aiuto proposte, vuole comunque abortire.
Da diversi anni siamo presenti con uno sportello all’Ospedale San Carlo di Milano. Ci aveva chiamati il professor Buscaglia, uno dei medici abortisti della prima ora, perché lui era convinto che, senza avere davanti tutte le possibilità di scelta, una donna non fosse veramente in grado di decidere liberamente.
Di cosa ha più bisogno una donna in difficoltà a causa di una gravidanza inattesa?
La statistica è enorme, non c’è una regola precisa in queste cose, ma direi che la cosa che le donne chiedono di più è di non sentirsi sole, di sentire che la loro gravidanza non è un affare privato. Purtroppo, invece, la maternità è vissuta per il 90% dei casi in solitudine, anche in situazioni non problematiche.
Ogni donna deve cambiare i suoi ritmi di vita, non può più fare le cose che faceva prima, si allontana dalle amicizie di sempre, dal suo lavoro. Questo può generare una serie di problematiche, anche psicologiche, a cui la nostra società non è in grado di rispondere. Quello di cui ci sarebbe bisogno è una vicinanza vera, una serie di reti, anche culturali, che sostengano una mamma. Per dirla con gli africani, servirebbe un intero villaggio per crescere un bambino, perché i figli non sono solo affare delle donne, sono una questione sociale.
Di contro invece, ogni dibattito sulla legge 194 è un affare non solo sociale, ma addirittura politico, come dimostrano le polemiche di questi giorni…
Sì, ma è un dibattito ideologico, non sostanziale, che si riaccende davanti a casi sconcertanti, come il neonato lasciato nel cassonetto, ma che poi non affronta davvero le questioni. Per farlo è necessario impostare un dialogo serio, che non si nutra solo di slogan vecchi di anni. Ma se non riusciamo nemmeno a mettere in piazza a Milano una statua che raffigura una maternità direi che su questi temi siamo proprio lontani da un dibattito sereno.