Dipendenze. Fragili, confusi, disperati. I giovani che non capiamo
Don Mazzi: «I tossici? Ho dei 15enni che non vogliono vivere»
Aguzzini, assassini. Oppure fantasmi: vittime dei più forti, ma anche della noia, delle aspettative, del web. Caino e Abele, Abele e Caino: le categorie si confondono, la psicologia balbetta, l’educazione si eclissa. C’è un mondo di giovani sani: impegnati, altruisti, coraggiosi. E poi c’è quello che terribili fatti di cronaca hanno tratteggiato negli ultimi mesi: il ragazzo che si butta dalla finestra a Lavagna per non deludere la madre, gli amici che uccidono i genitori di uno dei due a Pontelangorino per soldi, i bulli di Vigevano che violentano un coetaneo disabile, la banda di Alatri che massacra Emanuele. Tragedie incomprensibili, e che per questo fanno paura. Agli adulti, che arrivano tardi. Che non capiscono, non sanno aiutare. Perché? Chi sono questi giovani? Cosa gli succede che dipende da noi (se dipende da noi) e come intervenire per cambiare (noi e loro)? Il “salvagente” delle dipendenze – droga, alcol, tecnologie – fa acqua: non giustifica, tanto meno risponde. E così anche i luoghi tradizionali cui gli adolescenti “malati” vengono affidati – le comunità, i centri di recupero, gli istituti di riabilitazione – non bastano più. Avvenire inizia un viaggio su questa frontiera, che sta cambiando pelle. Ad abitarla in molti casi, e da decenni, ci sono figure carismatiche come don Gino Rigoldi e don Antonio Mazzi, che incontriamo oggi. Tra gli ultimi, nelle periferie geografiche, economiche ed esistenziali – il primo soprattutto a Milano e in Romania, il secondo su tutto il territorio nazionale e negli ultimi anni anche in diversi Paesi del mondo – questi due sacerdoti hanno lottato e lottano per la resurrezione dei “cattivi ragazzi”. Li incontrano, li ascoltano, li hanno visti cambiare. E adesso lanciano alla politica, alla società civile e persino alla Chiesa una nuova sfida. Necessaria per non perderli.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 18 aprile 2017