GENERAZIONE I-PHONE: I RAGAZZI SEMPRE CONNESSI SONO PIÙ INFELICI
Uno studio americano associa l'abuso di smartphone e tablet ne giovani a un aumento di depressione e apatia. Lo psicoterapeuta Alberto Pellai suggerisce di regolamentare l'uso degli strumenti tecnologici per evitare un pericoloso allontanamento dalla realtà.-
Uscirà a breve negli Stati Uniti un saggio per genitori intitolato: «IGen». Scritto dalla psicologa Jean Twenge, e anticipato con un capitolo pubblicato sulla rivista Atlantic propone una serie di contenuti che manderanno non poco in crisi i genitori che lo vorranno leggere.
La tesi della Twenge è una sola: i nostri figli sono più infelici di quelli delle generazioni precedenti. Oggi infatti sono più depressi, hanno più problemi sia a scuola che nel lavoro. E sembrano meno coinvolti nelle relazioni di cui sono protagonisti. Quelli del passato infatti trascorrevano più tempo con gli amici, nelle attività sportive, studiando. Anche l’innamoramento e la scoperta dell’affettività sembrano oggi più rallentate e ritardate. E cresce per i ragazzi di oggi il rischio di ideazione suicidaria, utilizzo di sostanze ad azione psicotropa, vittimizzazione da bullismo. Insomma, per stare con la tesi dell’autrice: “Forse si stava meglio quando si stava peggio”.
Una ragione sta alla base di tanta fatica di crescere, di tanta inadeguatezza ad andare incontro in modo sano e funzionale alle sfide evolutive che ogni adolescente, da sempre, incontra in questa fase della vita: le nuove tecnologie. Che probabilmente, ormai è improprio chiamare “nuove”. Ma che di sicuro sono sempre più pervasive, onnipresenti, intrusive. E soprattutto precoci.
La Twenge ha intitolato il suo saggio “IGen” dove I sta per I-Phone: ovvero generazione dell’I-Phone. E a noi, mamme e papà, non può non venire subito in mente l’immagine dei nostri figli, che da quando vengono dotati di smartphone, non se ne separano più. Lo tengono sempre in mano, quasi fosse una protesi integrata nella struttura del loro corpo. Lo consultano ossessivamente per decine di volte ogni ora, non di rado anche ripetutamente nello stesso minuto. E quando se ne devono separare, mostrano un livello di sofferenza esagerato, proprio come se venissero privati dell’aria per respirare, di una delle ragioni principali per cui stanno al mondo. Molti genitori, che quest’estate hanno prenotato vacanze per trascorrerle con i propri figli, si sono sentiti intimare: “Verifica che ci sia il wi-fi e che il campo di ricezione sia buono, altrimenti io non parto con voi”.
Forse anche la Twenge, dopo che il suo saggio verrà letto, conosciuto e diffuso presso il grande pubblico, sarà inserita nel gruppo degli “apocalittici”, ovvero di quegli specialisti della salute e dell’età evolutiva che col loro lavoro “spaventano” il mondo adulto rispetto agli effetti indesiderati e collaterali associati all’uso massiccio delle tecnologie. Anch’io sono stato più volte inserito in questo gruppo. Quando due anni fa ho pubblicato il mio saggio: “Tutto troppo presto. L’educazione sessuale dei nostri figli ai tempi di Internet” (De Agostini Editore) in molti hanno considerato esagerato l’allarme che lanciavo, relativamente alla precocizzazione sessuale e all’adozione di comportamenti sessuali online a rischio da parte di minorenni che hanno un accesso illimitato al mondo del web e nessuna attenzione eEppure a due anni di distanza, l’allarme per me è tuttora attualissimo. E non mi considero certo un apocalittico: ciò che alcuni di noi stanno facendo attraverso il proprio lavoro non è spaventare gli adulti, bensì aiutarli a capire che uno smartphone connesso - messo nelle mani di un bambino della scuola primaria - può produrre gli stessi effetti di un fuoristrada affidato alla guida di un preadolescente.
Penso che sono libri come il mio e quello della Twenge che in questo momento possono rappresentare uno strumento di pensiero critico per chi troppo superficialmente ha aderito alla rivoluzione tecnologica in corso, non vedendone i limiti e soprattutto i danni, quando non vengono rispettati i criteri di fase-specificità intorno ai quali deve essere costruito l’intero progetto educativo da riservare ad un minore. ducativa al riguardo da parte degli adulti.
La Twenge fornisce come consiglio ai suoi lettori, un unico intervento: “posare lo smartphone” e imparare a vivere senza tablet e I-phone per buona parte della propria vita reale, estendendo questa astinenza dalla tecnologia a tutti i luoghi in cui i ragazzi trascorrono il loro tempo, scuola e famiglia in primo luogo. Se l’astinenza vi sembra eccessiva, io vi consiglio almeno di stilare un contratto chiaro con i vostri figli, dove indicate cosa vi aspettate che loro facciano e non facciano con le loro tecnologie e le zone “franche” della giornata in cui non li devono avere appresso (la mattina quando si svegliano, durante i pasti, quando fanno i compiti, dopo le 21.00, quando vanno a dormire).
E forse, questa indicazione dovremmo farla nostra non solo nel nostro ruolo di genitori, ma anche di uomini e donne adulti. E’ probabile che la pervasività e l’importanza che i nostri figli hanno dato alla loro vita online, non sia altro che il riflesso dell’importanza che noi adulti per primi vi abbiamo attribuito. Producendo un corto circuito che ha avuto effetti non solo nella relazione educativa con i nostri figli, ma anche nelle relazioni fondamentali della nostra esistenza.
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 09 agosto 2017