Il reportage. La difficile lotta per uscire dal tunnel dell'azzardo
Antonio Maria Mira
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 13 gennaio 2024
Visita al centro pluridipendenze di Acerra, nel napoletano. Le testimonianze di chi ha perso tutto, anche gli affetti familiari, e ora prova a “disintossicarsi”.-
Malati di “bollette”, come nel Napoletano chiamano le scommesse. Malati di Lotto e Superenalotto. Proprio quelle tipologie che, secondo il ministero dell’Economia (lo abbiamo scritto venerdì 12 gennaio su Avvenire, a pag. 21), non creerebbero dipendenza. Li abbiamo incontrati ad Acerra nel Centro pluridipendenze della Asl Na2 Nord, partner del progetto “Game over” (vedi articolo qui a fianco). Tutti in cerchio, con le più diverse dipendenze: droghe, alcol e azzardo. E sono proprio i giocatori d’azzardo patologici (Gap), a raccontarci le loro storie drammatiche, dalle quali stanno provando a uscire.
Giovani di 30 anni e adulti anche di più di 60, che hanno buttato soldi nell’azzardo per decenni. Alcuni sono seduti per terra, altri sui tappeti, altri ancora sulle sedie. «Quando cominciamo siamo col culo a terra. Poi su tappeti come una zattera per cominciare a pensare di salvarsi », ci spiegano. Poi due frasi che da sole smentiscono quelle ripetute dal mondo dell’azzardo. « Un tempo si giocava una volta a settimana, ora con l’aumento delle possibilità, ogni 5 minuti». Si gioca di più perché aumenta l’offerta. E, ripetono tutti, «solo azzardo legale. Durante i lockdown quando le sale erano chiuse abbiamo giocato online». Dunque non è vero che senza l’azzardo legale si passa a quello illegale. Prima di incontrare i giocatori d’azzardo patologici, ci fa un quadro l’educatore, Gino Liberato. « Il “giocatore” è peggio del tossicodipendente perché non c’è la sostanza, non si buca, non sniffa. Così dice al cocainomane: “Io non ho niente a che fare con te. Tu sei un tossico e io no”. Ma l’altro risponde: “Io spendo 600 euro, tu 2mila. E non compri il latte ai figli”. Ma non ci sono drogati di Serie A e B, sono tutti tossici e intossicano chi è intorno». In particolare le famiglie. « La dipendenza da “gioco” è un cancro che colpisce tutta la famiglia. Per questo è importante il ruolo delle mogli nel recupero, però se necessario la famiglia va allontanata per salvarla».
E la famiglia è centrale nei racconti dei “giocatori”. Ciro, 65 anni, ex operaio. « Ho iniziato a 40 anni con le “bollette” con gli amici e sono andato avanti per 20 anni. Rubavo i soldi a casa. Pensavo: “Faccio la bolletta e se vinco risolvo i problemi familiari”. Poi la sera i risultati non venivano e arrivavano l’ansia e il mal di stomaco. Ma dicevo: “Ci rifacciamo domani”. Mia moglie ha sofferto molto, ora lavora e io sono contento. Frequento il corso da due anni e non gioco più. Ma soprattutto ho ricreato il rapporto con mia moglie, comunicare nuovamente con lei è molto bello. Non so se sono felice, ma sono contento». Gino conferma. «Ciro non è mai ricaduto. La moglie lo ha seguito. È venuta anche lei, si è creato un canale di collaborazione».
Diversa la storia di Rosario, 63 anni. « Fino a 44 anni facevo solo la schedina, poi ho avuto problemi sanitari, una forte depressione che ho prima sfogato nell’alcol, poi pensando che servissero soldi in famiglia, ho cominciato a giocare, prima 100 euro a settimana, poi fino a 3mila, Lotto e SuperEnalotto. Sono crollato nel 2014, e ho tentato due volte il suicidio. Ho sperperato 200mila euro, ero ambiguo, nascondevo tutto. È emerso tutto nel 2018 quando dovevo essere operato e mia moglie ha scoperto che il conto in banca era vuoto. Ora siamo separati, il figlio più piccolo non vuole sapere niente di me, il più grande si sta riavvicinando. Faccio il percorso da cinque anni e non ho avuto ricadute e non bevo dal 2019». E fa anche di più. «Ora Rosario ci aiuta, è sempre presente – racconta Gino –. Questo posto ti offre un bivio. C’è la possibilità di prendere un’altra strada. Quale scelgo? Alcuni di voi la stanno scegliendo». Come Alessandro, 30 anni. « Ho iniziato a 13 anni, con le “bollette”, per fare il grande salto e poi non fare più niente nella vita. Rubavo in famiglia, ero nervoso, assente, non vedevo l’ora di andare a “giocare”. Facevo solo scommesse sportive. Ero convinto di potermi controllare, di prevedere i risultati. Provavo un delirio di onnipotenza quando a scuola i professori mi chiedevano consiglio per la “bolletta”, mi sentivo gratificato ». « Un fatto che accade a molti», commenta Gino. Lotto e SuperEnalotto, e anche alcol, tornano nel racconto di Lorenzo, 62 anni. « I soldi a casa erano pochi. Pensavo: “Faccio una vincita e cambia tutto”. Ma ero in un tunnel. Annulla i problemi, ti estranei completamente, mi faceva bene. Poi la sera bevevo vino e pensavo che passasse tutto, invece la mattina non era cambiato niente. Prima i figli potevano andare in gita o mangiare una pizza, poi non più. E cresceva l’angoscia. Volevo risparmiare ma poi la mattina tornavo a “giocare”». Poi tre anni fa la decisione. «Una mattina dissi in famiglia: “Siamo in rosso”. Avevo 130mila euro di debiti. Mia moglie si arrabbiò tantissimo, così mio figlio. Avrei preferito che mi desse una coltellata. Ho consegnato Bancomat e gestione dei soldi a mia moglie, ma poi anche lei è “scoppiata”. E i figli mi hanno costretto a venire qui, e ho capito che è l’unico posto dove posso farcela». L’incontro è finito. Ci salutano con due frasi che fanno riflettere. « Dobbiamo cambiare le nostre vite anche fuori di qua». «Siamo “giocatori” ma chi sta giocando con le nostre vite?».
© RIPRODUZIONE RISERVATA L’educatore Gino Liberato: «Questo posto offre la possibilità di prendere un’altra strada». Ciro: «Rubavo i soldi in casa, ora ho ricreato il rapporto con mia moglie». Rosario: «Mio figlio più piccolo non vuole sapere niente di me»