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Come insegnare ai figli l’arte di restare fedeli ai sogni

di Paola Pollo

Hanno la vocazione per medicina (oppure architettura) ma il muro dei test d’ingresso all’Università li blocca. Che fare? Due consigli.-

Ogni estate speravo che ce l’avesse finalmente fatta. E invece per tre stagioni è arrivato in spiaggia con la sua tavola da surf e quella tristezza profonda del cuore: «Neppure stavolta. Ma nessun test mi fermerà, un giorno sarò medico perché è questo che sogno sin da bambino». E se ne andava a testa bassa cercando l’onda che si portasse via quella delusione adulta. Ora Riccardo, a 23 anni, è al secondo anno di medicina e surfa in facoltà alla media di 30 e lode. Il giorno in cui uscirono i risultati ci telefonò felice. Bravo lui a tenere. Ed ora che mia figlia si trova nella stessa situazione, capisco anche che sono stati eccellenti i suoi genitori a motivarlo a crederci, sempre. Non è facile. Ci sono testi e pubblicazioni e studi e sportelli di aiuto per gli adolescenti «disorientati», apatici, demotivati, senza passioni. Ma se hai un figlio che da sempre sente che quella è la sua strada e ci crede ed esce dalla maturità con l’entusiasmo di cominciare il percorso ma trova un muro altissimo gli strumenti a disposizione sono pochi. Come spiegargli che la risposta non data al test («Cos’è la grattachecca?») non è effettivamente pertinente con quella «vocazione», che si presuppone abbia un bravo medico, ad aiutare le persone nel dolore fisico o morale?
«Mamma scusa, non è giusto: nelle università straniere devi presentare un portfolio di quello che hai fatto e devi sostenere un colloquio sulle motivazioni che ti portano a scegliere quel percorso, ma in Italia no. Non ha senso, con la nostra preparazione, poi», mi dice sempre mia figlia. Già non ha senso. «Vai all’estero, Emma». «Perché? Sono italiana». Come obiettare?

«Quando siamo di fronte a una vocazione autentica - dice Gustavo Pietropolli Charmet, docente di psicoterapia dell’adolescenza e fondatore del centro Minotauro, da sempre critico sullo sbarramento - giusto aiutare il ragazzo sostenendo da una parte le scelte mature di posteggiarsi in percorsi alternati e dall’altra l’autostima, perché non è un test a definire se lui è adatto o meno. Personalmente nello specifico, da sempre, parlo di abuso di potere. I miei colleghi ed io una volta abbiamo fatto quel test: non saremmo mai passati».
«La misura eroica era data dall’esperienza di superare se stessi, non dal risultato. Fallire non contava: eroe non era chi vinceva, ma chi ci aveva anche solo provato», scrive la grecista Andrea Marcolongo nel suo nuovo libro «La misura eroica. Il mito degli Argonauti» (Mondadori). Bellissima teoria ma come trasferirla nel mondo «ragazzo» dove l’insicurezza sul futuro (dicono) regna sovrana? Affrontando con loro la discussione sul nostro sistema scolastico troppo generalista e poco incline alle passioni? Scomodare forse la piramide di Maslow per cui solo soddisfacendo i propri bisogni e le proprie motivazioni si passa ai gradi successivi?

«La lettura è su due binari. Uno è la capacità di resistere alle frustrazioni legate al sistema - spiega la psicologa e psicoterapeuta Simonetta Verdecchia responsabile del centro clinico del Ruolo terapeutico di Milano -. È compito dei genitori far capire che limiti e barriere non significano sgretolamento della personalità e che si possono trovare alternative. Poi c’è la passione che ha a che fare con la vitalità e che è necessaria dunque per vivere. Quella ideale soprattutto. Quindi restituire sempre al proprio figlio quell’immagine: non ti preoccupare, non importa, non ti scoraggiare, ti aiutiamo noi. Per far passare, come è, la sicurezza che proprio la passione muove le risorse giuste per arrivare». Passaparola allora, tra più di 80 mila famiglie.

da www.corriere.it
@Riproduzione Riservata del 24 marzo 2018
 
 

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