«LA DIFFERENZA NON È TRA PROGRESSISTI E CONSERVATORI, MA TRA INNAMORATI E ABITUATI». GLI AUGURI DEL PAPA ALLA CURIA ROMANA E AI DIPENDENTI VATICANI
di Annachiara Valle
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 21 dicembre 2023
Francesco incontra cardinali e capi dicastero e ricorda l'importanza di ascoltarsi davvero. Ai dipendenti, invece, chiede calore nelle relazioni umane e li ringrazia per l'impegno e il servizio umile agli altri.-
Papa Francesco fa gli auguri alla curia e ai dipendenti vaticani. Due discorsi molto diversi. Lungo e articolato il primo, che è sembrato anche una risposta a quanti lo stanno aspramente criticando soprattutto dopo la Dichiarazione Fiducia supplicans pubblicata, con la sua approvazione, dal Dicastero della Dottrina della fede, caloroso e appassionato il secondo. «A sessant’anni dal Concilio, ancora si dibatte sulla divisione tra “progressisti” e “conservatori”, mentre la differenza centrale e tra “innamorati” e “abituati”. Questa e la differenza. Solo chi ama cammina», aveva detto parlando ai porporati. E invitandoli a tre atteggiamenti: ascolto, testimonianza e cammino. Le figure di riferimento, ha detto il Pontefice sono Maria, Giovanni Battista e i Magi. Guardando il presepe papa Francesco chiede di stupirsi per la venuta del Signore e di «ascoltare e ricevere sempre questo annuncio, soprattutto in un tempo ancora tristemente segnato dalle violenze della guerra, dai rischi epocali a cui siamo esposti a causa dei cambiamenti climatici, dalla povertà, dalla sofferenza, dalla fame e da altre ferite che abitano la nostra storia. È confortante scoprire che anche in questi “luoghi” di dolore come in tutti gli spazi della nostra fragile umanità, Dio si fa presente in questa culla, la mangiatoia che oggi Egli sceglie per nascere e per portare a tutti la l’amore del Padre; e lo fa con lo stile di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza».
Ma bisogna saper ascoltare, «che è diverso dall’udire», ammonisce Francesco. E farlo senza giudicare. Il modello è Maria «Vergine dell’ascolto» che ci ricorda «che il primo grande comandamento è “Ascolta Israele”, perché prima di ogni precetto è importante entrare in relazione con Dio, accogliendo il dono del suo amore che ci viene incontro. Ascoltare, infatti, è un verbo biblico che non si riferisce soltanto all’udito, ma implica il coinvolgimento del cuore e quindi della vita stessa».Un ascolto interiore «capace di intercettare i desideri e i bisogni dell’altro, di una relazione che ci invita a superare gli schemi e a vincere i pregiudizi in cui a volte incaselliamo la vita di chi ci sta accanto. Ascoltare è sempre l’inizio di un Cammino». SI ascolta in ginocchio, «cioè con umiltà e stupore», sapendo che «non stiamo davanti all’altro nella posizione di chi pensa di sapere già tutto, di chi ha già interpretato le cose prima ancora di ascoltare, di chi guarda dall’alto in basso ma, al contrario, ci si apre al mistero dell’altro, pronti a ricevere con umiltà quanto vorrà consegnarci». Il Pontefice vede il rischio di «essere come dei lupi rapaci: cerchiamo subito di divorare le parole dell’altro, senza ascoltarle davvero, e immediatamente gli rovesciamo addosso le nostre impressioni e i nostri giudizi. Invece, per ascoltarsi c’è bisogno di silenzio interiore, ma anche di uno spazio di silenzio tra l’ascolto e la risposta. Prima si ascolta, poi nel silenzio si accoglie, si riflette, si interpreta e, soltanto dopo, possiamo dare una risposta. Tutto questo lo si impara nella preghiera, perché essa allarga il cuore, fa scendere dal piedistallo il nostro egocentrismo, ci educa all’ascolto dell’altro e genera in noi il silenzio della contemplazione».
Dobbiamo recuperare il valore delle relazioni ascoltando gli altri «senza pregiudizi, con apertura e sincerità; con il cuore in ginocchio. Ascoltiamoci, cercando di capire bene cosa dice il fratello, di cogliere i suoi bisogni e in qualche modo la sua stessa vita, che si nasconde dietro quelle parole, senza giudicare». Cita Sant’Ignazio: «Un buon cristiano deve essere propenso a difendere piuttosto che a condannare l’affermazione di un altro. Se non può difenderla, cerchi di chiarire in che senso l’altro la intende; se la intende in modo erroneo, lo corregga benevolmente; se questo non basta, impieghi tutti i mezzi opportuni perché la intenda correttamente, e così possa salvarsi».
Ascoltando davvero si può vivere anche il discernimento «come metodo del nostro agire. E qui possiamo fare riferimento a Giovanni il Battista. Noi conosciamo la grandezza di questo profeta, l’austerità e la veemenza della sua predicazione. Eppure, quando Gesù arriva e inizia il suo ministero, Giovanni attraversa una drammatica crisi di fede; egli aveva annunciato l’imminente venuta del Signore come quella di un Dio potente, che finalmente avrebbe giudicato i peccatori gettando nel fuoco ogni albero che non porta frutto e bruciando la paglia con un fuoco inestinguibile. Ma questa immagine del Messia si frantuma dinanzi ai gesti, alle parole e allo stile di Gesù, dinanzi alla compassione e alla misericordia che Egli usa verso tutti. Allora il Battista sente di dover fare discernimento per ricevere occhi nuovi».
Il discernimento, spiega il Papa, «è importante» perché «ci spoglia della pretesa di sapere già tutto, dal rischio di pensare che basta applicare le regole, dalla tentazione di procedere, anche nella vita della Curia, semplicemente ripetendo degli schemi, senza considerare che il Mistero di Dio ci supera sempre e che la vita delle persone e la realtà che ci circonda sono e restano sempre superiori alle idee e alle teorie. Abbiamo bisogno di praticare il discernimento spirituale, di scrutare la volontà di Dio, di interrogare le mozioni interiori del nostro cuore, per poi valutare le decisioni da prendere e le scelte da compiere».
Infine «la terza parola: camminare», come i Magi. «La gioia del Vangelo, quando la accogliamo davvero, innesca in noi il movimento della sequela, provocando un vero e proprio esodo da noi stessi e mettendoci in cammino verso l’incontro con il Signore e verso la pienezza della vita. La fede cristiana – ricordiamocelo – non vuole confermare le nostre sicurezze, farci accomodare in facili certezze religiose, regalarci risposte veloci ai complessi problemi della vita. Al contrario, quando Dio chiama suscita sempre un cammino, come è stato per Abramo, per Mosè, per i profeti e per tutti i discepoli del Signore. Egli ci mette in viaggio, ci trae fuori dalle nostre zone di sicurezza, mette in discussione le nostre acquisizioni e, proprio così, ci libera, ci trasforma, illumina gli occhi del nostro cuore per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati». E anche in curia è importante «restare in cammino, non smettere di cercare e di approfondire la verità, vincendo la tentazione di restare fermi e di “labirintare” dentro i nostri recinti e nelle nostre paure. Le paure, le rigidità, la ripetizione degli schemi generano staticità, che ha l’apparente vantaggio di non creare problemi – quieta non movere –, ci portano a girare a vuoto nei nostri labirinti, penalizzando il servizio che siamo chiamati a offrire alla Chiesa e al mondo intero». Dobbiamo vigilare «contro il fissismo dell’ideologia, che spesso, sotto la veste delle buone intenzioni, ci separa dalla realtà e ci impedisce di camminare. Invece siamo chiamati a metterci in viaggio e camminare, come fecero i Magi, seguendo la Luce che vuole sempre condurci oltre e che talvolta ci fa cercare sentieri inesplorati e ci fa percorrere strade nuove. E non dimentichiamo che il viaggio dei Magi – come ogni cammino che la Bibbia ci racconta – inizia sempre “dall’alto”, per una chiamata del Signore, per un segno che viene dal cielo o perché Dio stesso si fa guida che illumina i passi dei suoi figli. Perciò, quando il servizio che svolgiamo rischia di appiattirsi, di “labirintare” nella rigidità o nella mediocrità, quando ci troviamo ingarbugliati nelle reti della burocrazia e del “tirare a campare”, ricordiamoci di guardare in alto, di ripartire da Dio, di lasciarci rischiarare dalla sua Parola, per trovare sempre il coraggio di ripartire. Dai labirinti si esce solo “sopra”».
Più tardi, incontrando i dipendenti vaticani li ringrazia per il loro servizio offerto nel nascondimento e nella piccolezza. Uno stile che, dice il Pontefice, vorrei augurarlo anche alle vostre famiglie e ai vostri ragazzi. Oggi viviamo in un tempo che a volte appare ossessionato dall’apparire, tutti cercano di mettere in vetrina sé stessi. È il tempo del “trucco”: tutti si truccano, non solo la faccia, ma si truccano l’anima e questo è brutto, e cercano di mettere in vetrina sé stessi. Apparire, specialmente attraverso i cosiddetti social. È un po’ come volere dei preziosi bicchieri di cristallo senza preoccuparsi che il vino sia buono. Il vino buono lo si beve in un bicchiere comune. Ma in famiglia le apparenze e le maschere non contano – in famiglia si sa tutto –, o comunque durano poco; ciò che conta è che non venga a mancare il vino buono dell’amore, della tenerezza, della compassione reciproca. E questo è lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza. E l’amore – lo sappiamo bene – non fa rumore. Lo viviamo nel nascondimento e nella piccolezza dei gesti quotidiani, nelle attenzioni che sappiamo scambiarci. Questo vi auguro: di essere attenti, nelle vostre case e nelle vostre famiglie, alle piccole cose di ogni giorno, ai piccoli gesti di gratitudine, alla premura del prendersi cura. Guardando il presepe possiamo immaginare la premura, la tenerezza di Maria e di Giuseppe per il Bambino che è nato».