La «lezione» del Papa ai ragazzi
Ridare vita e senso alle parole e ai giorni.-
di Davide Rondoni
Chi vuole esercitare potere in ogni ambito lavora sulle parole: le distorce, le devia, le occulta, le scambia. Vale per chi vuole aver dominio in ambito sociale e politico ma anche per chi vuole aumentare il suo potere di vendita, e per chi vuole raggirare l’interlocutore. Si lavora sulle parole per poter esercitare iI proprio potere sulla realtà. È evidente, è lampante. Solo gli sciocchi non lo capiscono, o coloro che fanno finta di non capirlo così da stare più comodi, e spenti.
Ma i media in tutto il mondo hanno riportato due vivide osservazioni fatte da papa Francesco sabato scorso, 6 maggio 2017. Due osservazioni a riguardo delle parole e del loro uso fatte durante un intervento di fronte a tanti ragazzi delle “Scuole per la pace”. Una riguardava il grande ordigno sganciato dalle forze americane su una zona controllata dai terroristi islamisti in Afghanistan e denominata in gergo “Madre di tutte le bombe”, giocando anche sulla sigla che la distingue Moab che viene letto come Mother of all bomb, mentre in realtà significa altro. Il Papa ha detto di sentire vergogna per l’uso della parola “madre” per una bomba. Non si può chiamare con il nome che indica generazione, ha detto, quel che porta distruzione e morte.
Non ha nominato gli Stati Uniti, né il presidente Trump che intanto si è prenotato per un appuntamento. Non è entrato in disquisizioni geopolitiche che non gli competono, non ha attaccato direttamente nessuno, ha preso (e mostrato al mondo) la menzogna di una parola e di un gesto. Allo stesso modo, il Papa, ha stigmatizzato l’uso delle parole «come pietre» durante un dibattito elettorale. E non un dibattito elettorale qualunque...
Ma anche in questo caso, lo ha fatto senza entrare in una vicenda politica che ha sue dinamiche. Eppure quel segnale, l’uso di parole-pietre suona per tutta la classe politica e dirigente come un segnale potente e libero. Una posizione ragionevole, diretta e aperta. Se le cosiddette élite non danno segno di collaborazione o almeno di rispetto è difficile chiederne al popolo ferito e confuso da una crisi dalle ragioni oscure.
Ci sono diversi modi di guardare la scena del mondo: a partire da interessi particolari e dunque in modo strategico rispetto a essi oppure – come sta facendo il Papa – a partire da un interesse per la vita reale delle persone, in qualunque campo o situazione si trovino. Quello che Francesco dice vale per i potenti come per coloro – tutti noi – che esercitano il proprio “potere” nelle scelte e nelle parole di ogni giorno, di fronte a una quotidianità complessa. In questo modo, il Papa, capo di una istituzione speciale che però si muove nella storia “normale”, mostra ancora una volta, come tante volte i suoi predecessori, la natura di tale istituzione. Storica ma non “serva”, non cortigiana della storia.
Non assoggettata alle convenienze provvisorie di strategie politiche. Una istituzione, certo, ma differente per natura e scopo da tutte le altre istituzioni. Che non invita i suoi aderenti a uscire dal mondo, anzi come è accaduto pochi giorni fa con gli appartenenti ad Azione Cattolica, che li esorta a prender parte con animo alto alle vicende politiche e comuni.
Ma un’Istituzione che non pone la sua autorevolezza nella interpretazione politica della storia che si svolge. No, il criterio di giudizio, e quindi la autorevolezza della Chiesa ribadita con questo tipo di interventi da papa Francesco sta nell’invito all’uomo a cercare una vita piena di senso (e quindi parole sensate e vive).
da www.avvenire.it
@ Riproduzione Riservata del 09 maggio 2017