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La Pasqua unisce cristiani d'Occidente e d'Oriente con gli ebrei

Cattolici, protestanti e ortodossi celebrano insieme la festa che quest’anno coincide con il Pesach. Don Bettega: un invito al dialogo. Il messaggio congiunto di Ccee e Kek firmato da Bagnasco e Hill.
Una singolare coincidenza vuole che i cristiani di tutte le confessioni e gli ebrei celebrino insieme la Pasqua. Lo si deve a un’insolita convergenza dei calendari. Quest’anno la festa ebraica di Pesach si tiene da martedì scorso a martedì 18 aprile, mentre la solennità della Risurrezione è festeggiata oggi sia da cattolici e protestanti, che seguono il calendario gregoriano, e sia dalle Chiese ortodosse, che si affidano al calendario giuliano per calcolare il giorno in cui le donne trovano il sepolcro vuoto. Ecco, quindi, che la Pasqua 2017 assume un significato anche ecumenico e interreligioso.
«Se tutto ciò avviene per quello che potremmo considerare un dono della Provvidenza – spiega il direttore dell’Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo, don Cristiano Bettega –, questa concomitanza di date ci porta a riflettere sull’unica radice della festa di Pasqua. Essa affonda nel Libro dell’Esodo, ossia nella straordinaria narrazione della liberazione del popolo eletto dalla schiavitù d’Egitto per mano di Mosè che agisce in nome di Dio». Nella Veglia pasquale è il brano “centrale” tratto dall’Antico Testamento. «Il grande pellegrinaggio verso la Terra Promessa che da quel momento inizia – afferma il direttore dell’Ufficio Cei – interroga la nostra vita in cui siamo continuamente chiamati a riscoprire la presenza del Signore e il suo fedele accompagnamento». Poi don Bettega aggiunge: «Ricordarsi come cristiani ed ebrei il legame da cui tutto proviene fa bene alle rispettive comunità. Ed è un monito a far sì che il dialogo sia sempre più fecondo. Certo, talvolta è faticoso. Non per volontà di chi lo porta avanti. Tuttavia i fedeli possono incontrare difficoltà nel comprendere che un confronto a più voci è qualcosa di naturale».
Pesach è accompagnato da una serie di segni: la veglia, il pane non lievitato, il digiuno del primogenito. «Una simbologia che rappresenta una ricchezza e ha molto da insegnarci – osserva don Bettega –. Pensiamo al gesto che precede l’inizio della festività: in quell’occasione le famiglie ebraiche eliminano dalla casa ogni traccia di lievito e qualsiasi cibo che ne contenga. Se leggiamo questa tradizione in un’ottica cristiana, possiamo considerarla un richiamo a riprendere in mano la nostra esistenza rimuovendo ciò che è vecchio per rinnovare l’adesione alla fede nel Risorto e diventare così donne e uomini nuovi. Del resto san Paolo, parlando di “Cristo nostra Pasqua”, esorta a togliere “via il lievito vecchio per essere pasta nuova”».
Il 2017 è anche l’anno in cui i cristiani d’Oriente e d’Occidente proclamano nello stesso giorno la vittoria della vita sulla morte. Era avvenuto nel 2014 e succederà di nuovo nel 2025. «Si tratta un significativo invito all'unità pur nelle differenze dei riti», chiarisce il direttore dell’Ufficio Cei. Certo, questa Pasqua è segnata anche dall’ecumenismo del sangue, come testimonia la strage dei cristiani coopti in Egitto. Lo sottolinea il messaggio congiunto per la solennità firmato dal cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, presidente del Ccee, e dal vescovo di Guildford della Chiesa d’Inghilterra, Christopher Hill, presidente della Kek. «La crocifissione è una realtà in atto: la vita umana è violata e la creazione viene sfruttata. Attraverso la guerra, l’avidità e l’ingiustizia, la vita è minacciata e viene distrutta. Per troppi, e troppo spesso, il mondo è segnato dalla violenza e dalla paura, ma Gesù Cristo è più forte delle nostre porte chiuse o dei muri nel nostro cuore – si legge nel testo –. Siamo particolarmente vicini, nelle nostre preghiere, a quei cristiani che sono perseguitati e non hanno la possibilità di celebrare la Risurrezione nella libertà e nella pace. Essi sono il corpo sofferente di Cristo. Sentiamo anche particolarmente vicini nelle nostre preghiere tanti nostri fratelli e sorelle in Cristo, che sono morti per professare la propria fede, così come coloro che continuano a testimoniare e operare per il rispetto reciproco e il dialogo in situazioni pericolose. Sono un esempio per noi. Essi richiamano i cristiani in Europa ad essere coraggiosi nella loro fede, e a testimoniare con gioia e convinzione l’amore infinito di Dio».
Giacomo Gambassi
Da www.avvenire.it sabato 15 aprile 2017
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