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Lettere. Charlie tra benessere e consapevolezza. Due parole su cui interrogarsi

di Marina Corradi
Caro Avvenire,
il caso di Charlie Gard mi ha coinvolto, come immagino molti altri genitori. Quello che mi angoscia maggiormente sono le parole del giudice inglese: «Io devo pensare al benessere del bambino» e poi «Cresce fisicamente ma non mentalmente». Siamo veramente su un crinale apocalittico: la vita non conta più, vale il benessere ('welfare') e se un bambino (o un malato incosciente o un anziano debole) non può dire quanto benessere prova, qualcuno (il Potere) decide per lui. Che cosa è il 'benessere'? Avere un bel conto in banca? Mangiare bene al ristorante? Fare la maratona di New York anche da anziani? E poi che cosa vuol dire 'crescita intellettuale'? Chi non conosce il valore del pi greco è inadatto a vivere? Un tempo prospettive come quelle di Charlie erano patrimonio dei libri di fantascienza, tipo The Brave New World. Non a caso un libro inglese. Questa storia non mi piace. Cambiamogli il finale, please.
                                                                      Renato Luparini
«È terribilmente ingiusto verso Charlie continuare il trattamento sapendo che è contro il suo benessere», hanno scritto in una lettera ai magistrati i medici del Great Ormond Street Hospital. «È solo il suo corpo che cresce, il suo cervello non sta crescendo», ha detto martedì in udienza il giudice dell’Alta Corte di Londra. Il 'benessere' e la 'consapevolezza' dunque, sono questi i criteri che emergono fra le linee guida nella determinazione della sorte di Charlie Gard. Al di là che il bambino possa essere accompagnato con una terapia che limiti almeno gli effetti della sua malattia. Nella testa dei medici la discriminante pare il 'benessere', che è cosa diversa dalla non sofferenza. Nemmeno del fatto che il piccolo soffra i medici possono dirsi certi. Ma, introducendo il concetto di 'welfare', il discorso si ampia parecchio e si affaccia in un’area insicura e paludosa. Come scrive il lettore, che cos’è il 'benessere', e come può definirsi? Sembra una categoria quantomeno soggettiva, che ciascuno di noi indicherebbe in modo differente. Il 'benessere' non è lo stesso per un ragazzo, per un vecchio, per un malato cronico. Il 'benessere' è un concetto molto relativo, e preoccupa che qualcuno possa oggettivizzarlo e farne un criterio di misura rigido, per stabilire la dignità di una vita. Davanti a tanti handicappati gravi, a pazienti dipendenti dalle macchine, a stati vegetativi, a anziani vittime di demenze, chi può stabilire quale è il 'benessere' minimo che giustifichi il loro vivere? Idea pericolosa e inquietante, questa che solo un certo livello di vita sia degno, idea che apre scenari alquanto sinistri. Già si selezionano gli embrioni sani da quelli portatori di malattie genetiche, si arriverà a farlo anche con i già venuti al mondo?
E così anche l’affermazione che la crescita del bambino Charlie è solo fisica e non riguarda il cervello, mette alla luce un retropensiero altro, da quanto si è finora detto apertamente sul caso inglese. Poiché non starebbe crescendo cerebralmente, allora quel figlio non merita di essere curato? E allora, di nuovo, cosa dire di chi nasce malato e senza alcuna possibilità di acquisire mai consapevolezza? È questa la vera linea guida delle decisioni di medici e giudici londinesi, per questo si sono almeno fino a oggi mostrati così riluttanti anche di fronte alle proposte di trattamento che sono arrivate da Roma e da New York?
Un bambino il cui cervello non si sviluppa non ha senso che viva? Nell’attesa di una sentenza che, come dice il lettore, cambi questo scenario da Brave New World, la gelida profezia di Aldous Huxley sui mondi prossimi venturi, ha senso interrogarsi su quelle due parole dei medici filtrate fra le righe a un giudice, nel luglio dell’anno 2017, a Londra.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 13 luglio 2017

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