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Lo iscriviamo al nido oppure no?

di Chiara Borgia, Pedagogista  Immagine per l'autore: Chiara Borgia
da www.uppa.it
@Riproduzione Riservata del 07 settembre 2020

A volte questa domanda nasconde il timore di esporre il piccolo a esperienze non adatte alla sua fase di crescita, o a un trauma da separazione. Le ricerche ci dicono invece che il nido è una risorsa importante sia per il bambino sia per la famiglia.-

Gioco per bambini in un asilo nido
Anna ha 2 anni ed è accudita da una baby sitter, «una splendida signora che si prende cura di lei con attenzione e garbo», racconta la mamma, «organizzando anche una serie di attività con altri bambini alla ludoteca e al parco, pressoché tutti i giorni». Il padre di Anna insiste affinché la piccola frequenti il nido, sostenendo che deve stare di più con i suoi coetanei, fare attività più strutturate e acquisire maggiore autonomia. In casa si discute sul da farsi: il nido è davvero un’occasione di sviluppo per un bambino?
Francesco e Laura sono concordi nell’iscrivere il proprio figlio al nido, ma si chiedono quale sia il periodo migliore per farlo. Laura tornerà al lavoro quando il bimbo avrà 7 mesi e mezzo: è meglio iniziare l’inserimento un po’ prima, quando la mamma è ancora a casa? Oppure ritardare di qualche mese, affidando il piccolo ai nonni?
Sull’argomento dell’iscrizione all’asilo nido le domande sono molteplici e si accompagnano spesso a timori e preoccupazioni. Proviamo a fare un po’ di chiarezza per aiutare i genitori a vivere i momenti di separazione dal proprio bambino con serenità.
Un istintivo senso di protezione
Sono tante le emozioni in gioco, tra cui la paura di poter esporre il proprio bimbo a esperienze non adatte alla sua fase di crescita, o a traumi e sofferenze dovuti alla separazione. Tutto ciò è comprensibile: stiamo parlando di bambini molto piccoli, di cui non è immediato comprendere i bisogni e che suscitano in noi un istintivo senso di protezione. In molti casi, poi, l’ingresso al nido non è una libera scelta: spesso è legato al ritorno al lavoro della mamma e, a volte, è condizionato dall’assenza di familiari che possano prendersi cura del bambino. In questi casi il carico emotivo, accompagnato spesso da senso di colpa, insicurezza, gelosia verso le educatrici, rende ancor più difficile la decisione.
Nido, nonni o baby-sitter? 
Le ricerche ci dicono che la formula “migliore” è la frequenza di un nido di qualità associata a tempo familiare altrettanto di qualità. Sappiamo bene quanto sia importante che il bambino, nei primi anni di vita, trascorra le sue giornate vicino alle figure di accudimento, con le quali creare una buona relazione di attaccamento che costituirà la sua “base sicura” per crescere ed esplorare la realtà. D’altra parte è vero che a influire positivamente sullo sviluppo del bambino è anche la “ricchezza” di quel tempo, che deve essere dedicato ad attività che favoriscano l’interazione tra adulto e bambino (per intenderci, non davanti ai cartoni o all’iPad!).
Lo stesso vale per i servizi dell’infanzia. Non tutti i nidi si equivalgono, e ciò che fa la differenza per la crescita del bambino è la qualità dell’offerta, nei suoi molteplici elementi: ambiente, spazi, arredi, materiali, formazione ed esperienza del personale, relazioni con la famiglia, progetto pedagogico.
I benefici del nido
Paragonare il tempo vissuto con le figure di accudimento con quello offerto dal nido non ha molto senso, perché si tratta di esperienze sostanzialmente diverse. Frequentare il nido offre al bambino l’opportunità di sperimentarsi in un contesto esterno ma “protetto”; ciò non significa sminuire le relazioni fondamentali con genitori e familiari che hanno caratterizzato i suoi primi mesi di vita, bensì arricchirle con nuove risorse. Le esperienze che il bambino può vivere in un nido di qualità sono diverse da quelle casalinghe: al nido l’ambiente è pensato e attrezzato in funzione del piccolo; per quanto, da genitori attenti, possiamo organizzare la casa a “misura di bambino”, avremo difficilmente l’opportunità di offrire a nostro figlio uno spazio in cui possa muoversi così liberamente, sperimentare attività di tipo sensoriale, vivere l’ambiente naturale nelle sempre più frequenti proposte di outdoor education, imparare “facendo” con materiali idonei alla sua crescita e così via. Ancor più evidenti sono gli aspetti legati alle possibilità di socializzazione, gioco, condivisione, linguaggio, vita affettiva e relazionale con altri bambini e con gli educatori come adulti significativi.

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