LUCIANI, IL "PAPA DEL SORRISO" CHE ANTICIPÒ BERGOGLIO
di Alberto Chiara
Il 26 agosto 1978 un Conclave brevissimo elesse il patriarca di Venezia. Il suo pontificato durò solo 33 giorni, ma fu ricco di innovazioni. Il passaggio dal "noi" all'"io", l'abolizione della sedia gestatoria, l'umiltà di parlare di sè, il chiamare accanto bambini durante l'udienza generale: c'è molto Giovanni Paolo I nei gesti e nelle parole di papa Francesco.-
Quello che lo elesse fu un Conclave a suo modo storico: fu breve, brevissimo (durò appena un giorno); fu il primo che vide esclusi dal voto i cardinali ultraottantenni (così come stabilito da Paolo VI con il motu proprio Ingravescentem Aetatem, del 21 novembre 1970) e fu il primo ad essere seguito in diretta, in mondovisione, dalle tv di tutto il pianeta. Albino Luciani pensava di essere fuori dalla cerchia dei "papabili". A sua sorella aveva confidato: «Difficile trovare una persona adatta ad andare incontro a tanti problemi, che sono croci pesantissime. Per fortuna io sono fuori pericolo. E' già gravissima responsabilità dare il voto in questa circostanza». Non andò come auspicato dal Patriarca di Venezia. I 111 cardinali elettori entrarono nella Cappella Sistina la sera del 25 agosto 1978. La fumata bianca si levò alta nel cielo alle 18,24 del giorno successivo, il 26 agosto, trentotto anni fa. Una curiosità: tra gli scrutatori venne sorteggiato anche un cardinale polacco, Karol Wojtyla.
Guardando oggi quel che accadde allora, si scopre che in Giovanni Paolo I c'è molto papa Francesco. O meglio: si avverte che molte novità introdotte da Albino Luciani sono state portate a compimento da Jorge Mario Bergoglio. Semplicità, umiltà, profonda fede in Dio trasmessa con modi familiari e con linguaggio colloquiale. Il pastore venuto da Canale d'Agordo (Belluno) e il pastore giunto da Buenos Aires hanno molti tratti simili. Albino Luciani fu il primo pontefice a desiderare di parlare alla folla dopo l'elezione ma, poiché non era consuetudine, preferì rinunciare. Non a caso, poi, la cerimonia di inizio pontificato così com'è stata vissuta da papa Francesco (e, prima di lui, da papa Benedetto XVI e da papa Giovanni Paolo II) è figlia delle radicali novità volute dall'ex patriarca di Venezia nel 1978. Giovanni Paolo I iniziò il suo ministero petrino il 3 settembre di quell'anno con una Messa celebrata nella Piazza antistante la Basilica. Per la prima volta nella storia un Papa non fu incoronato. Luciani cambiò anche il linguaggio abolendo il termine intronizzazione. D'altronde fu il Papa che rifiutò trono, sedia gestatoria (ripristinata in seguito solo in certe determinate occasioni, e unicamente per motivi di visibilità) e il pluralis maiestatis. Il Papa smise di esprimersi usando il "noi". E passò all'"io".
Le sue uniche quattro udienze generali sono tutte caratterizzate da temi o da gesti particolari. La prima è dedicata all'umiltà: il Papa chiama a sé un chierichetto per far capire il senso di questo modo d'essere. La seconda udienza è dedicata alla fede e in quella speciale occasione Giovanni Paolo I recita una poesia di Trilussa. La terza è dedicata alla speranza. Il Papa parla della iucunditas e cita San Tommaso d'Aquino. Nella quarta e ultima udienza generale, un giorno prima della morte, il Papa parla della carità, cita alcuni passaggi della Populorum progressio (l'enciclica di Paolo VI) e, dicendo anche del progresso divino, invita, a dare un aiuto al Papa, Daniele, un bambino frequentante la quinta elementare.
Che volesse attingere al tesoro di misericordia del Vangelo, tanto nella forma quanto nella sostanza, Luciani lo confessò in un libro uscito nel 1976, Illustrissimi, un insieme di lettere scritte ai più svariati personaggi della storia e della finzione letteraria.«Personalmente», scrisse Albino Luciani, «quando parlo da solo a Dio e alla Madonna, più che adulto, preferisco sentirmi fanciullo. La mitria, lo zucchetto, l'anello scompaiono; mando in vacanza l' adulto e anche il vescovo, per abbandonarmi alla tenerezza spontanea, che ha un bambino davanti a papà e mamma. (...) Il rosario, preghiera semplice e facile, a sua volta, mi aiuta a essere fanciullo, e non me ne vergogno punto».
Lo confermò diventato Papa con il programmatico nome di Giovanni Paolo I. «Noi siamo oggetto, da parte di Dio, di un amore intramontabile», disse all'Angelus di domenica 10 settembre 1978. E proseguì:«Sappiamo: Dio ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. E' papà; più ancora è madre. Non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore. Con questi sentimenti io vi invito a pregare insieme al Papa per ciascuno di noi».
L'accento sulla tenerezza di Dio, patrimonio comune di tutta la Chiesa e dunque di tutti i Papi, ha in ogni caso un precedente illustre. Prima di papa Francesco a insistere su questo aspetto fu papa Giovanni Paolo I. Ma c'è dell'altro che lega profondamente i due Pontefici. Jorge Mario Bergoglio ha disegnato una Chiesa in cammino con l'umanità di oggi. Una compagna di strada. Anche l’"uomo" di Albino Luciani era un "uomo pellegrino". Parlando della cosiddetta «teologia dell’esodo», Giovanni Paolo I ebbe modo di affermare: «Per i cristiani la vita presente non è altro che un pellegrinaggio; nel centro di questa vita tutto un popolo, la Chiesa, è in marcia: fa da guida Cristo, spinge lo Spirito Santo, si punta verso il paradiso. “Io sono la via”, dice Cristo e ammonisce: I miei discepoli “non sono di questo mondo”. “Non abbiamo quaggiù una città stabile — completa san Paolo —, ma siamo alla ricerca della città futura”: “siamo dei rifugiati in Dio”; siamo “stranieri e pellegrini sulla terra”».
da www.famiglia cristiana.it
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