Milano. L'ingresso dell'arcivescovo Delpini: nell'amore di Dio, una città di fratelli
di Lorenzo Rosoli
Migliaia di fedeli in Duomo per il suo ingresso in Diocesi. Cerchiamo "più quello che unisce che quello che divide".-
«Ecco, il mio messaggio, il mio invito, la mia proposta, l’annuncio che non posso tacere si riassume in poche parole: la gloria del Signore riempie la terra, Dio ama ciascuno e rende ciascuno capace di amare come Gesù. Vi prego: lasciatevi avvolgere dalla gloria di Dio, lasciatevi amare, lasciatevi trasfigurare dalla gloria di Dio per diventare capaci di amare!». È l'applauso caloroso dei seimila fedeli che gremiscono il Duomo di Milano, ad accogliere l'appello accorato con cui il nuovo arcivescovo, Mario Delpini, chiude la sua omelia, presiedendo la Messa nel giorno in cui fa il suo solenne ingresso nella diocesi ambrosiana e si apre un cammino illuminato dalla «profezia stupefatta di Isaia» che fa da motto al presule: «tutta la terra è piena della sua gloria». Questo annuncio dà al pastore la forza di chiamare «fratelli, sorelle» non solo i fedeli cattolici, ma anche i cristiani delle altre Chiese, gli ebrei, i musulmani, i non credenti, le autorità. Tutta la Milano plurale di questo cambiamento d'epoca è chiamata e accolta nelle parole dell'arcivescovo.
«Milano, città ospitale per tutte le genti»
Domenica 24 settembre, vigilia della festa di Sant'Anatalo e tutti i Santi vescovi milanesi: è la data scelta, seguendo la tradizione, per l'ingresso in diocesi. Ed è seguendo la tradizione che si snodano sedi, gesti e riti dell'ingresso, come la prima tappa alla Basilica di Sant'Eustorgio, luogo legato alle origini della storia cristiana di Milano. In questo alveo Delpini si "offre" al suo popolo con l'originalità del suo stile, della sua parola, della sua umanità: come confermerà il saluto finale, intessuto di un'ironia sorridente e amabile (ma capace anche d'essere pungente, quando serve); un'ironia mai fine a se stessa, ma che è come la chiave con cui aprire la porta del cuore di chi ascolta, per depositarvi una parola di verità.
Così accade, alla fine della Messa. Col presule che prima spiega come e perché «molti hanno tentato di dissuadermi dall'accettare questo incarico». Poi dice d'averlo accettato, confortato dal fatto che non sarà solo a portarne il peso: «Guarda quanti bravi preti ti aiutano, guarda quanti diaconi ti aiutano, guarda quanta gente ha voglia di amare la Chiesa, di servirla, di costruirla, di sognare il suo futuro, di renderla quella città piena di gloria che l'Agnello desidera, perché sia ospitale per tutte le genti. Quindi – conclude – io voglio ringraziare tutti e voglio in particolare dire la mia fiducia nel clero che collabora col vescovo di Milano, e nella gente che in tante parti della diocesi lavora seriamente, ama veramente, collabora con lungimirante intelligenza alla pastorale».
«Noi, popolo che cerca pace e verità»
Il percorso d'ingresso muove dal santuario di Santa Maria presso San Celso, dove nel primo pomeriggio Delpini si raccoglie con gli Oblati e alcuni fedeli per recitare una decina del Rosario. Quindi via, in auto, fino a Sant'Eustorgio. In piazza, attorno alle 16, lo accolgono il sindaco Giuseppe Sala, il vicario episcopale per la Città monsignor Carlo Faccendini e 500 ragazzi degli oratori, dell'Ac e di altre realtà. «Dio, che benedice gli inizi, benedice oggi anche il mio, ma più che di me – che sono ormai avanti negli anni – Dio ha bisogno di gente giovane, lieta e che ha il coraggio di guardare al futuro con speranza – dirà poi ai ragazzi –. Date inizio al futuro, ragazzi di Milano!».
In basilica lo attendono 200 catecumeni. Che cos'è la vita? «Noi che ascoltiamo la parola di Gesù – spiega Delpini – rispondiamo che c’è una voce che chiama e fa della vita una vocazione e una missione, e ci mettiamo in cammino per essere un popolo che cerca pace e verità e ci mettiamo a cantare perché accogliamo con stupore e gratitudine la speranza che questi giorni siano solo un inizio di quella comunione perfetta e felice che chiamiamo vita eterna». Poi, nella Sala Capitolare, il saluto ai rappresentanti delle religioni non cristiane (mentre il Consiglio delle Chiese cristiane sarà incontrato in arcivescovado, dopo la Messa). E l'invito: «Dobbiamo incontrarci per dare insieme speranza alla città».
L'augurio di Scola: ogni inizio è una nascita
La tappa successiva: piazza Duomo, dove lo attendono le autorità civili e militari e migliaia di persone sotto il sole del pomeriggio di settembre. Sul sagrato, lo accoglie il predecessore, il cardinale Angelo Scola. Varcata la soglia del Duomo, Delpini riceve dall'arciprete monsignor Gianantonio Borgonovo la Croce Capitolare di San Carlo da baciare. Sono ormai passate le 17 quando inizia la Messa, concelebrata da 34 vescovi nella cattedrale gremita da seimila fedeli, mille dei quali sacerdoti. Quattro i cardinali presenti, che non concelebrano: oltre a Scola, Francesco Coccopalmerio, Renato Corti e Gianfranco Ravasi.
Scola, alla consegna del Pastorale di San Carlo, ricordando le parole dette dal cardinale Martini al cardinale Tettamanzi, così si rivolge al suo ex vicario generale: «Non ti dirò, come i nostri predecessori, che questo pastorale ti sarà pesante, perché la tua lunga esperienza ti consente di saperlo di già. Voglio invece formularti un augurio, in unione con tutti i vescovi delle Chiese di Lombardia di cui sei metropolita. Con l’aiuto di Gesù, di Maria, dei Santi, dei fedeli e di tutti gli uomini di buona volontà, il tuo cammino sia spedito e carico di frutti. Quella di oggi è per te un inizio e ogni inizio è una nascita come efficacemente scrive Péguy».
Cristiani, ebrei, musulmani, non credenti: tutti fratelli e sorelle
«Fratelli, sorelle! Permettetemi di rivolgermi a tutti così», dice Delpini aprendo la sua omelia e citando una poesia di Ungaretti. I primi a cui si indirizza sono «i fedeli del popolo santo di Dio», «la mia gente», «le pietre vive della Chiesa cattolica in questa terra benedetta da Dio». Dire «fratelli, sorelle», non è per «rinunciare alla responsabilità» del magistero o per sottrarsi «alle fatiche del governo»: dice invece «il proposito di praticare uno stile di fraternità, che, prima della differenza dei ruoli, considera la comune condizione dell’esser figli dell’unico Padre».
«Fratelli, sorelle», sono però anche i fedeli delle altre Chiese cristiane, invitati a cercare «più quello che unisce che quello che divide». E sono gli ebrei: «Abbiamo troppe cose comuni per precluderci un sogno di pace comune». Ai musulmani e ai fedeli di altre religioni, Delpini si rivolge «con una parola che è invito, è promessa, è speranza di percorsi condivisi e benedetti da una presenza amica di Dio che rende più fermi i nostri propositi di bene». Anche loro sono «fratelli, sorelle». Allo stesso modo si rivolge ai non credenti, «con l’aspettativa di trovarci insieme in opere di bene per costruire una città dove convivere sia sereno, il futuro sia desiderabile, il pensiero non sia pigro o spaventato». E alle autorità: «Mi preme dichiarare un’alleanza, un sentirci dalla stessa parte nel desiderio di servire la nostra gente e di essere attenti anzitutto a coloro che per malattia, anzianità, condizioni economiche, nazionalità, errori compiuti sono i più tribolati in mezzo a noi».
Il grazie alla Chiesa ambrosiana, chiamata alla missione
Quelle che seguono sono parole di «immensa gratitudine» alla Chiesa ambrosiana, agli arcivescovi che hanno segnato il suo cammino – Colombo, Martini, Tettamanzi, Scola – e ai preti e ai diaconi ambrosiani. «Non ho altro programma pastorale che quello di continuare nel solco segnato con tanta intelligenza e fatica da coloro che mi hanno preceduto in questo servizio, con l’intenzione di essere fedele solo al mandato del Signore, in comunione, affettuosa, coraggiosa, grata, con il santo Padre, Papa Francesco che mi ha chiamato a questo compito e che ispira il mio ministero. Non ho altro desiderio – prosegue Delpini – che di incoraggiare il cammino intrapreso da coloro che mi hanno preceduto, in particolare possiamo fare memoria della responsabilità missionaria che ha caratterizzato il magistero dei vescovi degli ultimi decenni, proprio a sessant’anni dalla conclusione della Missione di Milano indetta e vissuta da Giovanni Battista Montini nel 1957».
«Non disperate dell'umanità, dei giovani d'oggi e della società»
La gloria di Dio «è l’amore che si manifesta – prosegue, incalzante, l'omelia dell'arcivescovo –. Perciò io sono venuto ad annunciare che la terra è piena della gloria di Dio. Non c’è nessun luogo della terra, non c’è nessun tempo della storia, non c’è nessuna casa e nessuna strada dove non ci sia l’amore di Dio. La gloria di Dio riempie la terra perché ogni essere vivente è amato da Dio». È un annuncio contro ogni pessimismo e rassegnazione al male.
«La gloria di Dio è l’amore che si rivela». Così «ogni uomo, ogni donna è reso capace di amare come Gesù ha amato, è reso partecipe della vita di Dio e della sua gloria. In ogni luogo della terra, in ogni tempo della storia, oggi, dappertutto, in qualsiasi desolazione, in qualsiasi evento tragico, in qualsiasi tribolazione Dio continua ad amare e a rendere ogni uomo e ogni donna capace di amare».
Dunque: «Per favore, non parlate troppo male dell’uomo – chiede infine Delpini –, di nessun figlio d’uomo: la gloria di Dio avvolge la vita di ciascuno e lo rende capace di amare. Non disprezzate troppo voi stessi: Dio vi rende capaci di amare, di vivere all’altezza della dignità di figli di Dio, vivi della vita di Dio. La gloria del Signore vi avvolge di luce. Non disperate dell’umanità, dei giovani di oggi, della società così come è adesso e del suo futuro: Dio continua ad attrarre con il suo amore e a seminare in ogni uomo e in ogni donna la vocazione ad amare, a partecipare della gloria di Dio».
da www.avvenire.it
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