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«NO ALLE INGIUSTIZIE; I SISTEMI SANITARI SIANO EQUI, CURE PER TUTTI»

di Alberto Chiara 
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 12 gennaio 2021

GIORNATA MONDIALE DEL MALATO - 11 FEBBRAIO 2021

Riprende e attualizza in piena epoca Covid il messaggio della Fratelli tutti: senza fiducia reciproca, senza solidarietà fraterna, non c'è cura specifica efficace, capace non solo di debellare il male fisico, ma di guarire il cuore e di purificare le relazioni. Papa Francesco ribadisce concetti a lui cari nel Messaggio per la XXIX Giornata mondiale del malato che si celebra l'11 febbraio 2021, memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes, «un momento propizio», specifica il Pontefice, «per riservare una speciale attenzione alle persone malate e a coloro che le assistono, sia nei luoghi deputati alla cura sia in seno alle famiglie e alle comunità». Non potrebbe essere altrimenti, quest'anno: il pensiero di Jorge Mario Bergoglio è particolarmente rivolto «a quanti, in tutto il mondo, patiscono gli effetti della pandemia del coronavirus.
A tutti, specialmente ai più poveri ed emarginati, esprimo la mia spirituale vicinanza, assicurando la sollecitudine e l’affetto della Chiesa».-

Come tema di questa Giornata papa Francesco ha scelto il brano evangelico in cui Gesù critica l’ipocrisia di coloro che dicono ma non fanno: Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli (Mt 23,8); la relazione di fiducia alla base della cura dei malati. «Quando si riduce la fede a sterili esercizi verbali, senza coinvolgersi nella storia e nelle necessità dell’altro, allora viene meno la coerenza tra il credo professato e il vissuto reale. Il rischio è grave; per questo Gesù usa espressioni forti, per mettere in guardia dal pericolo di scivolare nell’idolatria di sé stessi, e afferma: "Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli". La critica che Gesù rivolge a coloro che "dicono e non fanno" è salutare sempre e per tutti, perché nessuno è immune dal male dell’ipocrisia, un male molto grave, che produce l’effetto di impedirci di fiorire come figli dell’unico Padre, chiamati a vivere una fraternità universale».
Davanti alla condizione di bisogno del fratello e della sorella, puntualizza Bergoglio, Gesù offre un modello di comportamento del tutto opposto all’ipocrisia: «Propone di fermarsi, ascoltare, stabilire una relazione diretta e personale con l’altro, sentire empatia e commozione per lui o per lei, lasciarsi coinvolgere dalla sua sofferenza fino a farsene carico nel servizio».
«L’esperienza della malattia ci fa sentire la nostra vulnerabilità e, nel contempo, il bisogno innato dell’altro», scrive ancora papa Francesco. «La condizione di creaturalità diventa ancora più nitida e sperimentiamo in maniera evidente la nostra dipendenza da Dio. Quando siamo malati, infatti, l’incertezza, il timore, a volte lo sgomento pervadono la mente e il cuore; ci troviamo in una situazione di impotenza, perché la nostra salute non dipende dalle nostre capacità o dal nostro “affannarci”. La malattia impone una domanda di senso, che nella fede si rivolge a Dio: una domanda che cerca un nuovo significato e una nuova direzione all’esistenza, e che a volte può non trovare subito una risposta. Gli stessi amici e parenti non sempre sono in grado di aiutarci in questa faticosa ricerca».
Emblematica è, al riguardo, la figura biblica di Giobbe. «La moglie e gli amici non riescono ad accompagnarlo nella sua sventura, anzi, lo accusano amplificando in lui solitudine e smarrimento. Giobbe precipita in uno stato di abbandono e di incomprensione. Ma proprio attraverso questa estrema fragilità, respingendo ogni ipocrisia e scegliendo la via della sincerità verso Dio e verso gli altri, egli fa giungere il suo grido insistente a Dio, il quale alla fine risponde, aprendogli un nuovo orizzonte. Gli conferma che la sua sofferenza non è una punizione o un castigo, non è nemmeno uno stato di lontananza da Dio o un segno della sua indifferenza. Così, dal cuore ferito e risanato di Giobbe, sgorga quella vibrante e commossa dichiarazione al Signore: "Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto"».

La malattia ha sempre un volto, e non uno solo, sottolinea Jorge Mario Bergoglio: «ha il volto di ogni malato e malata, anche di quelli che si sentono ignorati, esclusi, vittime di ingiustizie sociali che negano loro diritti essenziali (cfr Enc. Fratelli tutti, 22). L’attuale pandemia ha fatto emergere tante inadeguatezze dei sistemi sanitari e carenze nell’assistenza alle persone malate. Agli anziani, ai più deboli e vulnerabili non sempre è garantito l’accesso alle cure, e non sempre lo è in maniera equa. Questo dipende dalle scelte politiche, dal modo di amministrare le risorse e dall’impegno di coloro che rivestono ruoli di responsabilità. Investire risorse nella cura e nell’assistenza delle persone malate è una priorità legata al principio che la salute è un bene comune primario. Nello stesso tempo, la pandemia ha messo in risalto anche la dedizione e la generosità di operatori sanitari, volontari, lavoratori e lavoratrici, sacerdoti, religiosi e religiose, che con professionalità, abnegazione, senso di responsabilità e amore per il prossimo hanno aiutato, curato, confortato e servito tanti malati e i loro familiari. Una schiera silenziosa di uomini e donne che hanno scelto di guardare quei volti, facendosi carico delle ferite di pazienti che sentivano prossimi in virtù della comune appartenenza alla famiglia umana».
«La vicinanza, infatti, è un balsamo prezioso, che dà sostegno e consolazione a chi soffre nella malattia. In quanto cristiani, viviamo la prossimità come espressione dell’amore di Gesù Cristo, il buon Samaritano, che con compassione si è fatto vicino ad ogni essere umano, ferito dal peccato. Uniti a Lui per l’azione dello Spirito Santo, siamo chiamati ad essere misericordiosi come il Padre e ad amare, in particolare, i fratelli malati, deboli e sofferenti. E viviamo questa vicinanza, oltre che personalmente, in forma comunitaria: infatti l’amore fraterno in Cristo genera una comunità capace di guarigione, che non abbandona nessuno, che include e accoglie soprattutto i più fragili.
A tale proposito, desidero ricordare l’importanza della solidarietà fraterna, che si esprime concretamente nel servizio e può assumere forme molto diverse, tutte orientate a sostegno del prossimo. "Servire significa avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo" (Omelia all'Avana, 20 settembre 2015). In questo impegno ognuno è capace di "mettere da parte le sue esigenze e aspettative, i suoi desideri di onnipotenza davanti allo sguardo concreto dei più fragili. Il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla”, e cerca la promozione del fratello. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone"».
«Perché vi sia una buona terapia, è decisivo l’aspetto relazionale, mediante il quale si può avere un approccio olistico alla persona malata», conclude il Santo Padre. «Valorizzare questo aspetto aiuta anche i medici, gli infermieri, i professionisti e i volontari a farsi carico di coloro che soffrono per accompagnarli in un percorso di guarigione, grazie a una relazione interpersonale di fiducia-
Si tratta dunque di stabilire un patto tra i bisognosi di cura e coloro che li curano; un patto fondato sulla fiducia e il rispetto reciproci, sulla sincerità, sulla disponibilità, così da superare ogni barriera difensiva, mettere al centro la dignità del malato, tutelare la professionalità degli operatori sanitari e intrattenere un buon rapporto con le famiglie dei pazienti».

 

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