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«NOSTRO FIGLIO: UN PASSATO DI CANNE, ALCOL E GUAI ALLE SPALLE, UNA VITA CHE NON RIPARTE»

di Fabrizio Fantoni
Lettera di un padre
I miei figli non hanno ancora guadagnato un solo euro. Il primo, 24 anni, sta terminando l’università. L’altro, Lucio, 22 anni, ha alle spalle un po’ di abuso di alcool e canne e qualche piccolo guaio con la giustizia. Ora si è calmato ma è molto fragile, però non ha nessuna intenzione di fare qualcosa, anche se ha tutto e tutto potrebbe fare. Ci fa pena perché riesce solo a giocare alla playstation con gli amici. Cosa possiamo fare per “attivarlo”? Serve un miracolo perché capisca che così non può andare avanti. Io lo vedo ancora immaturo. Consegna i curriculum vitae e pensa che poi lo chiamino perché hanno bisogno di lui ma non è per nulla propositivo.
Severino
Risponde Fabrizio Fantoni
 Mi sembra che il problema di fondo sia la difficoltà di Lucio a considerarsi adulto a tutti gli effetti e non più un “ragazzo” che deve ancora dipendere dai “grandi”. Tra le passate difficoltà, il papà accenna a trascorsi di dipendenza. Spesso, dietro alla necessità di ricorrere alle sostanze o all’alcool o al gioco virtuale, c’è una dipendenza più profonda e radicata, che riguarda le relazioni con le persone. E forse anche il suo atteggiamento di non impegnarsi nella ricerca del lavoro, dipendendo economicamente da mamma e papà, cela l’incapacità di prendere le distanze da loro. Non è solo questione di soldi: essere autonomi vuol dire, nel concreto, sapersi gestire in casa e fuori. Cioè curare la propria stanza, far andare la lavatrice o stirare, cucinare per sé e per i genitori impegnati nel lavoro. Senza che mamma o papà siano sempre disponibili. Ma anche avere fuori dalla famiglia attività in cui esprimere sé stessi e solidi punti di riferimento affettivi: amici con esistenze più consolidate, una ragazza, altri adulti con cui potersi confrontare. Si possono fare molte cose per aiutare Lucio, anche da parte dei genitori. In primo luogo devono capire, tra loro due o con l’aiuto di una voce esterna esperta, se riescono comunque ad avere in mente che il figlio è grande e, al di là delle parole, se stanno mettendo in atto comportamenti di reale autonomizzazione. Ad esempio, esigendo una partecipazione alla necessità concrete della famiglia. Non avendo atteggiamenti protettivi o sostitutivi, ma lasciando che se la cavi da solo quando deve fare qualcosa, senza intromissioni o aiuti dei genitori. Accanto a questo, lo si sosterrà nella ricerca del lavoro, nella valorizzazione del suo titolo di studio o nell’avvio di nuovi percorsi formativi. Il primo passo è che mamma e papà, in sintonia tra loro, inizino a pensarlo come adulto, e si comportino di conseguenza.
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 10 ottobre 2017
 
 

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