Papa. «Divorziati, risposati, conviventi. La Chiesa spalanca la porta a tutti»
di Arnaldo Casali
da www.avvenire.it
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L'ha detto Francesco incontrando la comunità accademica del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II. E ha invitato le coppie "regolari" a non sentirsi superiori, c'è il rischio del fariseismo.-
Il saluto del Papa ai docenti e ai responsabili del JPII - Vatican Media
La Chiesa non chiude la porta ma la spalanca a tutti” dice papa Francesco, ricevendo in udienza la comunità accademica del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia.
“Tutti” ripete. E incalza: “Non dimenticare questa parola: tutti”. E ancora: “Tutti, tutti, tutti”. Tre volte lo ripete ancora. Perché sia chiaro, chiarissimo, senza possibilità di equivoco. Senza che questa apertura possa essere soggetta a interpretazioni.
La Chiesa spalanca la porta a tutti: ai divorziati e risposati, ai conviventi, “a coloro che faticano nel cammino di fede”. “Perché tutti hanno bisogno di un’attenzione pastorale misericordiosa e incoraggiante”. E invita a guardarsi dal fariseismo di chi si considera superiore perché ha la fortuna di vivere in una situazione regolare. “L’ha detto Gesù in una parabola: quando non vengono gli invitati a nozze, il padrone dice ai servi: “Andate per le strade e portate tutti, tutti, tutti” – “Signore, tutti i buoni, vero?” – “No, tutti, buoni e cattivi, tutti”. Non dimenticate quel “tutti”, che è un po’ la vocazione della Chiesa, che è madre di tutti”.
“La logica dell’integrazione pastorale – continua il pontefice nel suo discorso alla sala Clementina, dove arriva a piedi, senza l’ausilio della sedia a rotelle - è la chiave dell’accompagnamento per quanti convivono rinviando indefinitamente il loro impegno coniugale e per le persone divorziate e risposate”. “Sono battezzati, sono fratelli e sorelle; lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti”, dice citando Amoris Laetitia: “La loro presenza nella Chiesa testimonia la volontà di perseverare nella fede, malgrado le ferite di esperienze dolorose”.
Questo, ribadisce il Pontefice, non significa certo rinnegare il sacramento del matrimonio e la sua difesa: “Senza escludere nessuno la Chiesa promuove la famiglia, fondata sul matrimonio, contribuendo in ogni luogo e in ogni tempo a rendere più solido il vincolo coniugale, in virtù di quell’amore che è più grande di tutto: la carità. Infatti, la forza della famiglia risiede essenzialmente nella sua capacità di amare e di insegnare ad amare”.
“Per quanto una famiglia possa essere ferita – aggiunge Francesco - può sempre crescere a partire dall’amore”. Perché nelle famiglie le ferite si guariscono con l’amore.
Bergoglio torna a anche a sottolineare il nuovo protagonismo che deve essere riservato alla famiglia nella vita della Chiesa: “Le famiglie sono soggetti e non solo destinatari della pastorale famigliare, responsabili per l’edificazione della Chiesa e dell’impegno nella società”.
Ad ascoltare il Papa nella seconda udienza che Francesco ha concesso all’Istituto che lui stesso ha riformato nel 2017, insieme al Gran Cancelliere, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, il preside Philippe Bordeyne, i docenti, gli studenti e il personale, anche i vicepresidi di tutte le sezioni internazionali, che vanno dagli Stati Uniti alla Spagna passando per Messico, Brasile, Benin e India, cui si aggiungono i centri associati in Libano, Filippine, Porto Rico e Santo Domingo. Un’estensione nel mondo che consente al Jp2 di confrontarsi con molte realtà diverse, ognuna con specifiche problematiche e risorse pastorali.
Al Jp2, secondo il Pontefice, spetta una speciale cooperazione mediante studi e ricerche che sviluppino una conoscenza critica dell’atteggiamento di diverse società e culture nei confronti del matrimonio e della famiglia. “Perciò ho voluto che estendesse l’attenzione anche agli sviluppi delle scienze umane e della cultura antropologica in un campo così fondamentale per la cultura della vita”.
“È bene che le sedi dell’Istituto svolgano le proprie attività in dialogo con studiosi e istituzioni culturali anche di impostazioni differenti. Dobbiamo andare avanti in questi rapporti – raccomanda il Papa - è importante”. Perché in ogni parte del mondo l’Istituto sostenga gli sposi e le famiglie nella loro missione, aiutandoli a essere pietre vive della Chiesa e testimoni di fedeltà, di servizio, di apertura alla vita, di accoglienza.
Nel corso del suo discorso il Papa denuncia la discriminazione delle donne in molti Paesi, sottolineando invece come la parità di genere si sia imposta sin da subito nella comunità cristiana: “In Cristo Gesù – scrive San Paolo – non c’è più uomo né donna. Questo non vuol dire che la differenza tra i due sia annullata, bensì che nel piano della salvezza non c’è discriminazione”. Francesco non rinuncia, come nel suo stile, ad una battuta spiritosa: “Parlando delle donne, un vecchio prete mi diceva: “Stai attento, non sbagliare, perché dal Giardino dell’Eden comandano loro!”.
“Il sacramento del matrimonio – continua il Papa - è come il vino buono che viene servito alle nozze di Cana”. E ricorda come le prime comunità cristiane si siano sviluppate proprio in forma domestica. La parrocchia, spiega, nasce di fatto come famiglia allargata: “I cristiani si riunivano nelle case, ampliando nuclei familiari con l’accoglienza di nuovi credenti”.
Sin dall’inizio la chiesa-famiglia svolge anche un compito sociale: “Come dimora aperta e accogliente, fin dall’inizio la Chiesa si è prodigata affinché nessun vincolo economico o sociale impedisse di vivere la sequela di Gesù. Entrare nella Chiesa significa sempre inaugurare una fraternità nuova, fondata sul Battesimo, che abbraccia lo straniero e perfino il nemico”.
L’Istituto Jp2 incontra il Papa a conclusione di giornate particolarmente intense, che hanno visto – tra l’altro – l’inaugurazione dell’Anno Accademico, il Consiglio internazionale e un pellegrinaggio ad Aversa, dove oltre a confrontarsi con la pastorale familiare della diocesi, è stato organizzato un pranzo in un ristorante sorto in una villa confiscata a un camorrista e c’è stata una visita alla chiesa dove trent’anni fa è stato ucciso don Peppe Diana.