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Per quale motivo un adolescente decide di isolarsi dal mondo?

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di Barbara Tamborini, Psicopedagogista
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 30 gennaio 2025

Da uno studio recente di Cnr e Istat, sempre più ragazzi tra i 14 e i 19 anni scelgono di non avere relazioni. Uno su dieci incontra gli altri solo a scuola. La ricerca pubblicata su Scientific-report li chiama “lupi solitari”. Il commento di Barbara Tamborini, psicopedagogista, autrice di libri sull'educazione.-.

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Da sempre ciascuno tende a vivere esperienze che gli restituiscano qualcosa di positivo. Stiamo con persone che ci fanno stare bene, mangiamo cose che ci piacciono, ascoltiamo canzoni che ci emozionano. “Mi fa star bene” è il semaforo verde che dà l’ok a una serie di esperienze mentre “Mi fa stare male” e il rosso che le blocca. L’evoluzione ci ha dotato di questa centralina per muoverci nel mondo fin dal primo giorno di vita. Ma per noi, mammiferi evoluti, la crescita dei piccoli è un processo più complesso che affianca alla dinamica mi piace/non mi piace un altro ingrediente: l’educazione. Educare significa tirare fuori, condurre, far esprimere ciò che non è ancora espresso. Ecco che questi due motori che orientano l’azione dovrebbero dialogare tra loro durante tutta l’infanzia così da arrivare pronti all’adolescenza.

Crescere è faticoso, significa affrontare costantemente delle prove dove misurare il proprio valore e definire se stessi. Se la crescita si basasse solo sul sentire attivato dal “qui e ora”, molte situazioni verrebbero evitate in tempi rapidi, così come molti compiti evolutivi non verrebbero affrontati. Studiare è spesso un’esperienza frustrante che impone molta fatica e non sempre è ripagata con grandi soddisfazioni immediate. Entrare in un nuovo gruppo a volte può generare rifiuti, far sperimentare la sensazione di non essere apprezzati, ci si può sentire incompresi o derisi. Ogni nuovo passo verso il fuori richiede una forza interiore che molti adolescenti sentono di non avere. Ecco perché l’isolamento può diventare una possibilità concreta per evitare una male maggiore. Meglio essere lupi solitari che sbattere la faccia contro il muro del rifiuto o del fallimento. Il coraggio non si improvvisa, ma si costruisce a piccoli passi, con le emozioni e i pensieri che imparano a prendersi per mano.  

L’isolamento di tanti giovani è un campanello d’allarme che come comunità educante non possiamo ignorare. Dobbiamo tutti fare un esame di coscienza e assumerci le nostre responsabilità. Dobbiamo tornare ad essere allenatori del vivere, prevenire l’isolamento preparando al fuori i figli dalla primissima infanzia. Invitare amici a casa, sostenere esperienze di esplorazione, limitare i tempi nella vita virtuale in favore delle esperienze di relazione nella vita reale, favorire l’aggregazione e le appartenenze a gruppi e associazioni che hanno finalità educative e non commerciali. E in primo luogo dobbiamo essere d’esempio nel muoverci nel fuori con impegno e passione.

Dobbiamo stare vicino ai ragazzi anche se il contesto culturale in cui crescono va veloce e a volte ci sembra di non comprenderlo. Non capiamo la loro musica, il loro modo di divertirsi, il loro bisogno di tenerci lontani. Separarsi e individuarsi è il loro mestiere di adolescenti. Noi dobbiamo fare il nostro.  

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