Perché è importante rispondere al pianto del neonato
di Federica Baroni
La risposta al pianto di un neonato è fondamentale per il formarsi delle sue capacità comportamentali e della sua personalità. Per questo è importante informare e preparare i genitori a reagire in modo corretto quando il proprio figlio piange.-
I neonati piangono per richiamare le cure e le attenzioni dei genitori. E queste prime interazioni danno origine a un attaccamento infante-genitore che influenzerà lo sviluppo cognitivo e socio emotivo dei bambini.
E' quanto emerso dal congresso tenutosi a Trento International Infant Cry Workshop, dedicato allo studio del pianto del neonato.
"Piangendo il neonato comunica e richiede la presenza del genitore, stimolandolo a interagire e instaurando così una relazione con chi si prende cura di lui. E' questo il suo primo contatto con il mondo circostante. La risposta che ne riceverà influenzerà profondamente il suo futuro sviluppo neurale e, quindi, emotivo e anche sociale", spiega Paola Venuti direttore del dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive di Trento e tra gli organizzatori del convegno, intervistata dal quotidiano La Stampa.
Studi effettuati con risonanza magnetica e condotti in diversi Paesi hanno anche dimostrato che la predisposizione a reagire a urla e pianti è analoga in tutti i popoli. Se un bimbo piange, l'istinto di tutte le mamme e i papà del mondo è quello di prenderlo in braccio. Questo non riguarda solo gli uomini, ma tutti i mammiferi. L'intervento del genitore sul piccolo che piange ha un effetto calmante.
Spesso, però, chi soffre di depressione tende a rispondere meno ai richiami del figlio, il quale a poco a poco finirà per piangere meno degli altri bambini.
"Ma le misurazioni indicano in questi bambini livelli ormonali di stress più elevati di quanto il comportamento vocale lasci intendere" spiega Gianluca Esposito ricercatore all'università di Trento.
I genitori andrebbero formati e preparati a reagire in modo corretto al pianto, soprattutto con i bambini dal pianto atipico
"Il bambino down, ad esempio, ha un pianto con frequenze più basse e questo viene percepito come meno urgente e meno doloroso di quello dei bambini con sviluppo tipico. E piange anche meno, con il risultato controproducente che riceverà meno stimolazioni" spiega Venuti.
Il tipo di pianto può diventare anche un potenziale strumento diagnostico.
Alcuni ricercatori, guidati da Maria Luisa Scattoni del dipartimento di Biologia Cellulare e Neuroscienze dell’Istituto Superiore di Sanità, sono al lavoro per identificare in modo precoce nel pianto del neonato i possibili segnali dell’autismo, la cui diagnosi certa non è possibile prima dei 3 anni.
Dal congresso arriva anche un appello ai pediatri perché spieghino le implicazioni del pianto ai genitori e diano supporto alle madri in ansia per le continue urla del neonato.
"E' sbagliato pensare che un figlio non debba mai piangere. I pianti sono dei segnali e non vanno inibiti. Ma bisogna dare la giusta risposta" spiegano i ricercatori.
da www.bambinopoli.it
@Riproduzione Riservata del 13 luglio 2017