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Quando organizzare diventa un lavoro

di Anna Momigliano, giornalista
da www.uppa.it
@Riproduzione Riservata del 10 dicembre 2024

Il “sovraccarico mentale” che colpisce le donne ritenute responsabili dell’organizzazione familiare è una forma di disuguaglianza di genere difficile da riconoscere, ma molto diffusa anche tra le coppie con un’equilibrata divisione del lavoro domestico.-

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Normalmente godo di una pessima memoria. Un tempo me ne vergognavo, poi ho capito che era una benedizione, un dono da coltivare e, ove possibile, mettere a frutto; ché il buon Dio non mi avrà dato il cervello di Hannah Arendt e neppure il visino di Charlize Theron, per quanto mi sarei accontentata anche del contrario, ma se non altro mi ha donato la memoria di un pesce rosso.

Normalmente godo di una pessima memoria, si diceva, eppure ricordo distintamente una mattina di qualche anno fa, quando mi capitò di assistere a uno degli episodi più esemplificativi dell’atroce doppio standard a cui, pure in questo secolo illuminato, sono sottoposte le donne. 

La più grande delle mie figlie frequentava la scuola materna, e una mattina d’inverno ci capita di incrociare un bambino, accompagnato, cosa non più rara, dal papà. Le maestre accolgono il bambino e congedano amabilmente il genitore. E, non appena uscito il padre, una di loro telefona alla madre, per informarla che il ragazzino non era abbastanza coperto, serviva una felpa. Non era, o non mi era sembrata, una denuncia al compagno, o ex compagno, della malcapitata. Era una richiesta di intervento: devi, anzi dovevi, pensarci tu.

«Pensaci tu»: cos’è il sovraccarico mentale

Il problema sta proprio in quel verbo lì, pensare, con tutte le emicranie che esso sottende.

Qualcuno lo chiama mental charge, oppure mental load; noi, visto che la Crusca ci osserva, potremmo chiamarlo carico, anzi sovraccarico, mentale. È una di quelle cose che sono sempre esistite, ma a cui si è dato un nome solo di recente, un po’ perché a questo servono Internet e i social media, a fare comunella battezzando le nostre sciagure, e un po’ perché oggi la si nota di più, proprio perché altri doppi standard stanno lentamente evaporando.

Il (sovrac)carico mentale è quello che resta, sulle spalle delle donne, dopo che uomini e donne si sono divisi i compiti. È l’essere la parte della coppia che deve pensarci. È il tenere a mente, coordinare, mediare, sovrintendere, controllare e ricordare.

La divisione del lavoro di cura 

A onor del vero, peraltro, va detto che statisticamente parlando uomini e donne non si sono divisi i compiti poi tanto. Un’indagine Istat sull’uso del tempo ha rilevato che, anche tra le coppie in cui lavorano entrambi, le donne tendono a dedicare maggior tempo al lavoro domestico rispetto ai loro compagni. E il risultato è che in media le donne hanno un’ora di tempo libero al giorno (58 minuti, per fare i precisini) in meno rispetto ai loro partner.

Le statistiche, insomma, ci dicono che non è poi tanto vero che uomini e donne, anche quando hanno entrambi un impiego, si dividono equamente le cure dei figli e della casa. Di questo, comunque, si parla. Quello di cui si parla un po’ meno è che a questa disuguaglianza, tutto sommato tangibile, se ne aggiunge una seconda, un po’ più sfuggente.

«Potevi chiedere…»  

Una delle prime persone a farla notare è stata una fumettista francese, che si fa chiamare “Emma”, pochi anni fa. In una delle sue strisce, poi diventata un libro, l’artista descriveva una scena che a molti risulterà familiare: una coppia di amici la invita a cena, e quando arriva a casa, la moglie sta cucinando e contemporaneamente nutrendo i pargoli più piccoli, così il marito intrattiene l’ospite; quando la moglie, non riuscendo a fare tutto insieme, brucia la cena, il marito le dice che avrebbe dovuto chiedere il suo aiuto, lui avrebbe dato una mano volentieri.

«Potevi chiedere»: sono le due parole che mandano su tutte le furie ogni donna. «Quando un uomo si aspetta che sia la sua partner a dirgli di fare qualcosa, la vede come una manager delle faccende domestiche», commentava la fumettista. «Insomma, spetta a lei sapere cosa va fatto. Il problema è che pianificare e organizzare le cose è di per sé un lavoro», prosegue. Infatti, aggiungerei io, “project manager” è proprio un lavoro riconosciuto, e pure uno tosto.

La gestione del calendario familiare

Un classico esempio di carico mentale sta nella responsabilità di tenere il calendario familiare, e in particolare gestire le attività dei bambini e assicurarsi che ci sia sempre qualcuno a vigilare sul campo: il papà accompagna Luigino all’asilo, la nonna va a prenderlo, la tata accompagna Maria a nuoto, ma tocca alla mamma, il più delle volte, assegnare i turni e verificare che siano rispettati.

Un altro esempio, più vicino a quello descritto dal fumetto, sta nel ritrovarsi con un partner che fa le cose, e anche volentieri, ma solo se gli viene ricordato di farle, o chiesto esplicitamente. 

Siate smemorate!

Si tratta, naturalmente, di generalizzazioni, fatte peraltro su un modello di coppia eterosessuale, che non è l’unico. Ogni coppia è diversa e certamente, da qualche parte nel mio mondo ideale, esistono mariti che si prendono la briga di fare i project manager della famiglia. Se però appartenete a quella schiera di famiglie dove alla fine buona parte del carico mentale ricade sul gentil sesso, che stando alla mia esperienza aneddotica è piuttosto nutrita, ecco allora qualche consiglio non richiesto.

Donne, sappiate che è possibile liberarsene, anche se la cosa richiede di giocare un po’ sporco. La strategia più efficace consiste nel convincere tutti coloro che danno per scontato che siate voi a dover sempre tenere le fila della situazione che in realtà siete troppo stupide, o smemorate, per farlo. Io, non per vantarmi, ci riesco piuttosto bene, visto che la natura mi ha fatto il dono di una memoria deliziosamente inaffidabile e che, a un certo punto, ho deciso di archiviare i sensi di colpa.

Dividersi le responsabilità

Attenzione però: da convincere non ci sono soltanto i mariti, ma anche insegnanti, genitori e suoceri. Tutto il sistema costruito attorno all’idea di madre come oasi di affidabilità va demolito a forza di alzate di spalle e “ooops”; vedrete che il mondo non crolla, e gli altri impareranno ad assumersi una parte della responsabilità. Per concludere con un consiglio agli uomini, basta ricordarsi una dritta facile facile: amare significa non dover mai dire «potevi chiedere».

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