Racconto. Amare prima dei social, cioè diversamente coniugato
di Alessandro Tamburini
Gli smartphone hanno cambiato anche i primi amori. I dubbi di un “prof” di fronte all’abissale diversità di sentire la lontananza rispetto ai tempi in cui il “fisso” era l’unico mezzo.-
Estate 1972. Anna ha sedici anni, Paolo diciassette e stanno insieme da tre mesi, da una fredda sera di marzo in cui per riuscire a dichiararsi hanno rischiato il congelamento su una panchina del parco pubblico. Si incontrano ogni pomeriggio e la sera si parlano dai telefoni di casa, tanto a lungo da irritare i familiari e ancora di più i vicini di casa di Paolo, che hanno il duplex, cioè una sola linea in comune per due appartamenti, come usava allora. Per entrambi è il primo amore, e lo vivono col fiducioso abbandono della giovinezza. Arriva l’estate e Anna deve partire coi suoi per trascorrere l’estate in un paese del sud, di cui è originario il padre. La separazione fra i due ragazzi è dolorosa, al pensiero di dover restare lontani per tanto tempo. Le lacrime di Anna spingono Paolo a un’azzardata promessa: «Se trovo i soldi e se i miei mi lasciano, vengo a trovarti, ci sarà un treno che arriva laggiù…».
Anna gli lascia in pegno una propria fotografia, che lui infila nel portafogli con devozione. Estate 2019. Valentina ha sedici anni, Mattia diciassette e stanno insieme da tre mesi, quando dopo molte esitazioni si sono decisi a dichiararsi con uno scambio di messaggi su Whatsapp. Si incontrano ogni pomeriggio, e a tutte le altre ore del giorno comunicano attraverso varie funzioni dei loro cellulari. Per entrambi è il primo amore, e lo vivono col fiducioso abbandono della giovinezza. Arriva l’estate e Valentina deve partire coi suoi per trascorrere l’estate in un paese del sud, di cui è originario il padre. La separazione fra i due ragazzi è dolorosa, al pensiero di dover restare lontani per tanto tempo. Le lacrime di Valentina inducono Mattia a promettere che andrà a trovarla: «Ci dev’essere un FlixBus, o se no un BlaBlaCar, in qualche modo vedrai che arrivo…». Non occorre che Valentina gli lasci una propria fotografia, perché entrambi ne hanno già a dozzine nella memoria dei cellulari, e altrettante sono disponibili sui reciproci profili di Facebook.
Estate 1972. Dopo la partenza di lei, qualunque contatto fra Anna e Paolo risulta impossibile. Nella casetta del sud il telefono fisso non c’è e i due ragazzi entrano in una dimensione di lontananza e assenza assolute, di pensieri assidui che a momenti si fanno assillanti, fra ricordi teneri che rincuorano e inquietudini che non hanno modo di placare del tutto. Dopo una settimana l’immagine dell’altro ha subito una trasfigurazione. Ogni volta che Paolo guarda la foto, Anna gli appare diversa, cangiante, inafferrabile. Prova a figurarsi la casa dove abita, la spiaggia e il mare limpido di cui gli ha parlato prima di partire, che però sembrano a loro volta misteriosi e irraggiungibili. Dopo un mese quella realtà sconosciuta si è trasformata in un sogno. Ha acquistato un orario ferroviario e lo consulta di continuo. Si prepara a partire, con un’eccitazione acuita da timori e quesiti insolubili: la troverà, anche se lei non sa nulla del suo arrivo? Anna lo vorrà ancora? Sapranno ricreare la magica intesa di prima?
Estate 2019. Due ore dopo la partenza di lei, Valentina e Mattia si sono già scambiati una serie quasi ininterrotta di messaggi su Whatsapp, a cui dopo l’arrivo, appena lei può restare sola, si aggiungono chiamate vocali e videochiamate. Più tardi Mattia riceve la foto dell’invitante piatto di spaghetti allo scoglio che lei ha ordinato al ristorante, e a seguire quella degli spiedini di gamberi e del gelato variopinto. Poi si ritrovano alla sera, negli schermi dei pc, dove con Skipe Valentina gli mostra ogni angolo della propria stanzetta nella casa dei nonni, e anche quel che si vede dalla finestra. Il mattino dopo, grazie a un’altra videochiamata, Mattia potrà ammirare la spiaggia e l’acqua trasparente in cui lei sta per fare il bagno. Tre giorni dopo hanno già litigato un paio di volte.
La prima perché una sera lei gli ha inviato un messaggio, Mattia ha tardato due ore prima di risponderle, accampando poi una scusa, ma tramite una funzione di Whatsapp Valentina si è accorta che lui ha scritto ad altri prima che a lei. La seconda, più grave, quando Mattia ha visto su Facebook una foto postata da Valentina, in cui un ragazzo riccioluto le tiene un braccio sulla spalla. Offeso e ferito, Mattia dichiara che non andrà a trovarla, minaccia poi ritrattata e ripresa più volte, prima di concordare giorno, luogo e ora del suo arrivo.
Il confronto fra le due vicende, analoghe ma distanti quasi mezzo secolo, si presta a diverse valutazioni possibili. Già dal modo in cui è condotto trapela la convinzione che Anna e Paolo avranno avuto un incontro più intenso, sorprendente e memorabile di quello dei loro coetanei di oggi, in quanto preceduto da un periodo di silenzio e lontananza che ha stimolato facoltà vitali, quali la fantasia, l’immaginazione, la sedimentazione delle emozioni e dei sentimenti nella pratica del secum morari, cioè frequentare se stessi, prezioso alimento della vita interiore. E come si ritenga invece quello fra Valentina e Mattia depauperato e depotenziato dalla miriade di contatti virtuali scambiati nell’attesa, così da non renderla più nemmeno tale.
La sempre più ipertrofica e compulsiva comunicazione virtuale in atto oggi, specie tra i più giovani, appare infatti come uno degli esiti della mutazione antropologica denunciata a suo tempo da Pasolini, destinata a soffocare e svilire il carattere più genuino della persona. Come il frutto di uno sviluppo senza progresso, per cui la telefonia cellulare, che si annunciava come strumento di una maggiore libertà di comunicazione, si sta trasformando in una forma di schiavitù. Sono tuttavia consapevole di quanto la mia visione sia influenzata dal fatto che, per età e percorso di vita, la vicenda di Anna e Paolo è stata anche la mia, mentre resta comunque esterno e distante lo sguardo a quella di Valentina e Mattia, il che impedisce forse di comprendere le nuove forme di esperienza e conoscenza di cui la loro febbrile comunicazione digitale potrebbe essere portatrice.
Nel ruolo di insegnante, sono portato a mettere in guardia i miei studenti dai rischi di finzione e di deformazione della realtà insiti nei social, a cui sono particolarmente esposti poiché alle prese con una spesso cruenta lotta per la conquista della propria identità, afflitti da un imperioso bisogno di essere accettati e approvati, di sentirsi affini ai propri coetanei. Ma nel contempo appare velleitario se non ipocrita, come adulto che ha contribuito a mettergli in mano il cellulare fin dalla più tenera età, dirgli che ora quel giocattolo non devono usarlo, se non nel modo che giudico corretto, a parte ovviamente l’assoluto divieto durante le ore di lezione. E mi convinco che se anche il suo smodato uso fosse portatore dei danni peggiori, saranno loro che dovranno arrivare a capirlo, a desiderare e inventare un modo migliore.
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 07 giugno 2019