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«Sono queste le vere Olimpiadi dell'inclusione»

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di Giorgia Valeri
da www.famigliacristiana.it
@Riproduzione Riservata del 29 agosto 2024

Con 28 titoli mondiali e numerosi riconoscimenti europei e italiani, Daniele Cassioli è un'icona dello sport paralimpico. Ci racconta come sta vivendo l'evento di Parigi e il suo sogno di rendere lo sport accessibile a tutti.-

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Conquistati 28 titoli mondiali, 27 europei e 45 italiani, come anche il titolo di più grande sciatore nautico paralimpico di tutti i tempi, Daniele Cassoli continua a dedicare la sua vita allo sport. Non vedente dalla nascita, sin dall’infanzia è stato iniziato al nuoto, «prima come bambino, e poi come persona con disabilità», come ci racconta. Attualmente Presidente onorario della Piramis Onlus, un’associazione che si rivolge alle persone in difficoltà, e fondatore della Real Eyes Sport, che si occupa dei ragazzi con disabilità visiva, ci ha raccontato dalla sua prospettiva le Paralimpiadi di Parigi, inaugurate il 28 agosto sugli Champs Elysees. «Le Paralimpiadi sono sempre una cerimonia molto emozionante. Negli anni i numeri hanno continuato a crescere, così come anche l'attenzione, il numero delle persone coinvolte, del pubblico e questo è sintomatico del fatto che nella percezione dello sport paralimpico c'è stata una grande crescita. L'altra cosa significativa è che, almeno per noi europei, rappresenta un'occasione maggiore, perché nella percezione collettiva vengono paragonate a quelle di Londra 2012, le Paralimpiadi che hanno dato la svolta. Dopo 12 anni, le Paralimpiadi sono più semplici da seguire, sono vicino casa, tante persone stanno andando a vedere gli atleti dall'Italia. C'è un coinvolgimento che, nel caso del nostro Paese, è ancora più forte, se pensiamo anche che fra due anni saremo noi il centro del mondo con Milano-Cortina. Non si può poi ignorare il fatto che le Paralimpiadi sono anche un manifesto sociale, la dimostrazione che quando al centro viene posta la persona umana, si ottengono cose che non si ci aspettava nemmeno. Se pensiamo solo a 30 fa, quando l'idea che una persona con disabilità facesse sport sembrava un miraggio. Ora parte dell'attenzione del mondo è rivolta a loro»

Che ruolo ha in queste Paralimpiadi di Parigi?

«Lo sci nautico non va alle Paralimpiadi, poi sono sempre eventi molto complessi, molto difficili da seguire, quindi le seguo da casa ma con il cuore sono lì. Ho seguito tutta la preparazione perché sono membro di Giunta del Comitato Paralimpico e quindi chiaramente vivo tutto il lavoro che il Comitato Italiano Paralimpico ha fatto e sta facendo. Devo dire che all'estero molte realtà straniere vedono la crescita del Movimento Paralimpico italiano come uno stimolo e un punto d'ispirazione».

Che consiglio darebbe agli atleti che stanno per partecipare alle loro prime Paralimpiadi?

«Capisco la tensione, perché è un evento che prepari per quattro anni, in questo caso tre. Direi loro comunque di divertirsi. Nello sport, quando ci si diverte, si riesce sempre a dare il massimo. Direi anche di vivere con orgoglio questa cosa perché non è da tutti poter essere li, per tanti motivi: dall'allenamento, dalla selezione ma anche perché ci sono disabilità più complesse per le quali non ci sono ancora sport o perché non tutti i ragazzi con disabilità trovano una strada sportiva. Quindi la gratitudine è fondamentale, perché vivere un'esperienza del genere come per me vivere i campionati del mondo è da privilegiati. E per ultimo - si dà per scontato ma non è mai scontato nello sport – auguro loro di dare il massimo e di avere le condizioni emotive e ambientali per farlo».

Quali sono i suoi obiettivi o progetti legati allo sport e all'inclusione?

«Io sono Presidente ad Honorem di Pyramis Onlus e ho fondato Real Eyes Sport. Con queste realtà abbiamo il sogno di garantire lo sport a tutti, perché se è vero che ci sono 141 atleti per Parigi, è altrettanto vero che in Italia le persone con disabilità sono oltre un milione. Questo significa che c'è tanta gente che può essere raggiunta dallo sport, della quale non si sentirà mai parlare perché non vivrà magari le luci della ribalta, ma per la quale è giusto che la società offra un'occasione di fare sport. Ancora oggi nel 2024, nel nostro Paese, tante famiglie che hanno bimbi o ragazzi con disabilità trovano porte chiuse, difficoltà, impianti sportivi non accessibili, non trovano tecnici formati quindi il lavoro da fare è ancora tanto. Questi numeri e quest'attenzione intorno alle Paralimpiadi danno l'occasione di battere ancora di più il ferro finché è caldo. Le Paralimpiadi contribuiscono a scaldare questo ferro, poi ci vuole un movimento in grado di dare senso alla crescita dell'eco mediatica. Ho la fortuna di andare tanto nelle aziende, nelle scuole a portare la mia testimonianza. L'obiettivo è di crescere professionalmente come formatore e fare in modo che la mia associazione ma che, in generale, sia sempre più facile per una famiglia uscire di casa per andare a fare sport, trovare accoglienza, porte aperte e strade della possibilità e non dell'impossibilità. Sicuramente rispetto a 30 anni fa, è un'altra era geologica. Sono tempi da accogliere con gratitudine, fertili per chi fa questo lavoro. Io sono cieco dalla nascita e i miei genitori mi hanno fatto fare prima il bambino e poi il cieco. Ancora oggi, tante volte si fanno fare prima i disabili e poi le persone. Se ci impegnassimo tutti affinché le persone vengano spinte a valorizzare loro stesse, poi si arriva alle storie straordinarie che queste paralimpiadi ci racconteranno».

Cosa cambierebbe nel mondo dello sport paralimpico?

«Questo è un discorso che vale anche per lo sport in generale. Quello che voglio provare a fare è considerare lo sport un alleato educativo. Mi riferisco alle scuole, dove i ragazzi si muovono troppo poco. Lo stesso vale a casa, perché i genitori non hanno tempo da dedicarsi allo sport ed è più semplice tenere a casa i ragazzi. Anche banalmente le prove invalsi, non esistono di educazione fisica. I giochi della gioventù non sono più garantiti. Mi auguro in generale che ci sia più sport nella vita dei giovani e anche in quella degli adulti. Spesso nelle aziende, ad esempio, chiedono come si fa a fare squadra, team, a costruire fiducia. Se si parte dai ragazzi, avremo degli adulti con personalità più sviluppata, con competenze relazionali migliori.

Poi, crescendo, lo sport diventa benessere, salute…

«Se fossimo in grado di garantire lo sport a più livelli, avremmo anche meno malati, quindi meno patologie da curare. C'è proprio bisogno di proporre più sport e di avere famiglie più pronte ad accogliere lo sport, non per avere campioni, ma per investire sull’educazione emotiva e fisica di ciascuno. Sento un sacco di ragazzi che dicono che per la mole di studio hanno smesso di fare sport. Non solo disabili ma anche normodotati. Lo sport ha senso quanto lo studio. È un discorso che vale per tutti, a maggior ragione per chi ha una disabilità, perché oltre essere un alleato educativo diventa anche un alleato riabilitativo, perché ti fa tornare la voglia di fare cose che la disabilità alcune volte toglie».

(nella foto di copertina, il presidente Sergio Mattarella con alcuni atleti della delegazione italiana ai Giochi di Parigi)

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