Storie di solidarietà. Giovani volontari nei Cav, il nuovo popolo della vita
Baristi, studenti, impiegati: così ogni giorno da Nord a Sud i ragazzi dedicano il loro tempo alle mamme in difficoltà e ai loro piccoli nei centri di aiuto alla vita.-
Se non è un Paese per giovani (e per bambini), esistono realtà e luoghi di impegno nei quali, invece, i giovani sorprendentemente ci sono, eccome. Ad esempio. C’è da scommettere che pochi assocerebbero l’accoglienza delle donne in gravidanza al volontariato giovanile, ma lo sguardo ai 500 delegati dei Centri aiuto alla Vita mostra accanto a persone mezza di mezza età, e ai capelli bianchi della vecchia guardia, quelli che “c’erano” al referendum sull’aborto del 1981, un gran numero di giovani, a occhio una proporzione di uno a quattro. Belle facce, e belle storie.
Come quella di Greta, 25 anni, che fa la barista a Pescara con un diploma in Scienze sociali. Conosce nel 2011 i giovani del Movimento per la Vita grazie a una prof del liceo che notando la sua curiosità per i grandi temi bioetici la indirizza alle proposte dell’équipe giovanile del MpV. «Ho trovato in un contesto positivo e allegro la serietà nel cercare le risposte agli interrogativi che mi portavo dentro senza sapere con chi parlarne – racconta –. Io che nella mia vita volevo aiutare qualcuno ho trovato così la mia strada». L’ha trovata talmente bene che oggi di quell’équipe è appena diventata responsabile nazionale, succedendo a uno come Marco Alimenti che con la sua imminente laurea in Diritto amministrativo ha un percorso tutto diverso, ma con le stesse inquietudini a guidarlo e il medesimo approdo. «C’è tra i nostri coetanei una ricerca di senso e di concretezza che fatica a trovare modi e posti adeguati. E quando conoscono la possibilità di dedicarsi nei Centri aiuto alla vita a madri che spesso sono loro coetanee capiscono tutto quello che a parole magari avevano contestato». Tanto più che «il Movimento per la Vita non è ecclesiale, la fede non è un requisito indispensabile per mettersi dalla parte della vita: è un valore umano di base…».
Certo, parlarne agli amici non è facile, ma la chance perché la comprensione di quel che vale ogni vita trovi spazio nella società di domani dipende da questo dialogo. Che funziona più spesso di quel che si pensi, costringendo gli adulti a fare i conti con il proprio scetticismo sulle nuove generazioni. «I ragazzi con cui parlo pensano di sapere tutto – aggiunge Greta –, ma quando si va oltre la superficie scoprono che le frasi fatte non bastano più, e chiedono».
È tutto un cadere di pregiudizi ormai di cartapesta, acquisiti col copia-incolla dalla cultura della libera scelta che libera per davvero non è. Il punto è trovare qualcuno – un volto amico – che smaschera l’inganno. Perché c’è una generazione post-ideologica disposta a capire: «Se gli fai scoprire la bellezza della vita umana ai suoi inizi, i giovani come noi vedono che si deve far di tutto per difenderla – dice Daniela, 25enne di Macerata, laurea pedagogica e formatrice aziendale. Oggi prevale un pragmatismo che attende una causa convincente e compagni di strada credibili per mettersi in moto.
Dopo, si è disposti a tutto. Incluso tenere in tasca acceso 24 ore 7 giorni la settimana un cellulare il cui numero è pubblico in tutta la città. Risponde Maggie, al secolo Maria Magdalena, 30enne modenese trasferita a Firenze per il suo lavoro di operatrice in un asilo nido: «È il telefono di Sos vita, rispondo alle emergenze – dice con estremo pudore, come a non darsi importanza –. Cerco di mantenere aperto il dialogo con la mamma in dubbio sulla sua gravidanza, e la indirizzo alle volontarie del Cav». Visto che non basta il telefonino, Maggie frequenta anche le chat dove parla «con le adolescenti in cerca di pillole o rimaste incinta, che adesso hanno bisogno di un’amica vera».
Quell’amica che la 18enne gravida in un paesino del Leccese trovò in Denise, allora coetanea alla vigilia come lei della maturità. Studiarono insieme, l’esame passò e il bambino nacque, “adottato” col Progetto Gemma dalla parrocchia di Denise. Che oggi, alla soglia dei 30, insegna italiano alle medie e fa parte del direttivo nazionale del Mpv come presidente di Federvita Puglia: «Da chi ha fondato il Movimento abbiamo ereditato la speranza, insieme alla fiducia che ci stanno dando. È questo che vogliamo far capire ai nostri coetanei: la vita chiede responsabilità». Un’altra che l’ha capito è Cristina, calabrese 30enne di Cetraro, studi in psicologia, che la passione per la vita nascente l’ha appresa in famiglia, «ma ho deciso di fare la volontaria quando ho capito che ogni persona ha una dignità che nessuno può togliere».
da www.avvenire.it
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