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Storie. «Mia sorella autistica. L'amore assoluto? Un errore»

di Laura Badaracchi
da www.avvenire.it
@Riproduzione Riservata del 02 settembre 2024

Nel suo primo film da regista l'attrice Michela Giraud racconta il rapporto complesso con la sorella Cristina: "Volevo abbattere l'ipocrisia e i pregiudizi della narrazione corrente sulla disabilità".-

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Michela e Cristina Giraud - Foto Giacomo Spaconi

Per la prima volta dietro la macchina da presa, l’attrice Michela Giraud dedica il suo primo film da regista alla sorella Cristina, affetta da una sindrome dello spettro autistico caratterizza da ridotte capacità comunicative e di socializzazione. È incentrata proprio sul loro rapporto la trama di Flaminia, in cui Giraud interpreta la protagonista che dà il nome alla pellicola, in onda sabato 7 settembre alle 21.15 su Sky Cinema Uno e in streaming su Now, disponibile on demand. A interpretare invece la sorella (nella finzione, Ludovica detta Ludo) è Rita Abela. Nel cast anche – fra gli altri – Antonello Fassari, Nina Soldano, Edoardo Purgatori e Lucrezia Lante Della Rovere.

La trama racconta cosa succede nella vita patinata di Flaminia De Angelis – ragazza di Roma Nord ossessionata dall’immagine e arricchita – quando dalla comunità arriva la sua sorellastra Ludovica, trentenne nello spettro autistico, capace di mettere a nudo le ipocrisie con cui Flaminia convive.

Oscillando fra il registro ironico e quello drammatico, con personaggi ispirati a situazioni della sua esperienza personale, al suo debutto da regista Michela Giraud ha deciso di girare un film coraggioso per le tematiche affrontate, dato che i rapporti familiari e quelli tra fratelli e sorelle con una disabilità sono sempre complessi, densi di sfumature e sfaccettature non sempre facili da raccontare. L’abbiamo intervistata.

Quanto il rapporto con sua sorella ha ispirato il film, sia nella trama sia nei personaggi?

«Devo dire che è stato uno dei miei motori principali. Avevo la necessità di fare un film per abbattere l’ipocrisia che c’è nel rapporto tra ragazzi con disabilità (e diversità) con i loro fratelli e sorelle, i cosiddetti “sibilings”. Non mi sono mai trovata nella narrativa corrente che vuole confinare questi ragazzi a ruoli nei quali fanno cose eccezionali o vengono compatiti, per non parlare dei fratelli e delle sorelle invisibili. Li volevo raccontare come persone come noi. Noi non siamo invisibili, per questo ho voluto fare questo film. I miei personaggi sono una sorta di “pongo” di frasi ascoltate, persone incontrate e situazioni romanzate: sono tante esperienze di vita reale in alcuni casi estremizzate per renderle funzionali alla storia, ci tengo sempre a ribadirlo, perché altrimenti avrei fatto un documentario».

⁠Cosa direbbe per descrivere il rapporto con sua sorella e in che modo è stata importante nel suo percorso di crescita e di vita fino ad oggi?

«Un rapporto molto complesso, non ha senso negarlo, ma ci siamo amate oltre ogni limite, cosa che spesso non è un bene, perché è sempre importante non dimenticare sé stessi. L’amare in maniera eccessiva non sempre è sinonimo di positività perché, dopo tanti anni in cui ho creduto che concetti come “amore assoluto” e “amore incondizionato” fossero l’essenza della mia vita, ultimamente anche nel rapporto con mia sorella ho capito l’importanza del delineare i confini, del sapersi misurare. Io per lei ho fatto qualsiasi cosa, anche oltre le mie capacità, e dopo tanti anni ho scoperto che non è sano. Una cosa posso dire: la mia vita senza di lei non sarebbe quella di oggi e io sarei completamente un’altra persona, sicuramente più serena per alcuni frangenti, ma estremamente “povera” per altri».

È in contatto con qualche associazione di familiari di persone autistiche? Se sì, quale e perché ha scelto proprio quella?

«Da tanto tempo sono legata a “Cervelli ribelli”, il progetto di Gianluca Nicoletti che ho supportato, tra le altre cose, per la ristrutturazione di parte della struttura ricettiva. Ma sono tantissime le realtà che mi hanno contattata subito dopo il film: sarebbe bello poter restare in contatto con loro, tutte meritevoli di attenzione visto il lavoro che fanno».

Secondo lei oggi esiste ancora uno stigma sociale nei confronti di persone con neurodiversità e in che modo si potrebbe superare? L’esposizione sui social aiuta a diffondere una mentalità inclusiva o è controproducente?

«Sì, lo stigma esiste, perché c’è molta ignoranza e in generale misurarsi con una “diversità” è sempre una fatica. Bisogna abbattere i propri pregiudizi, prima di tutto ammettendo di averne, poi informarsi, capire, non giudicare: tutte cose che in un mondo così veloce, così immediato, nessuno ha voglia di fare. I social tuttavia hanno un grande potere, se usati bene: quello di “ridimensionare” cose che a volte non si sa da quale lato prendere o che sembrano barriere insormontabili. Tantissimi ragazzi con diversità e disabilità hanno voce, ridimensionando e abbattendo molti cliché: in questo senso per me è fondamentale l’amicizia con la scrittrice Marina Cuollo e sono una fan sfegatata delle sorelle Sara e Alessia Michielon del progetto “Ruote libere”».

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